Le venti giornate di Torino - Discussione

Premetto che considero l’etichetta di “libro maledetto” davvero eccessiva, almeno per la definizione che uso io. Posso capire la promozione di un libro uscito da 48 anni e che nessun aveva letto ma anche la pubblicità dovrebbe essere cosciente dei propri limiti. Il libro si legge velocemente, non ha uno stile particolarmente ricercato ed è scritto in modo comprensibile.
Passando al contenuto l’ho trovata una storia che mi è sembrata alquanto sconclusionata, ma questo non lo considero un difetto, che non ha suscitato più di tanto il mio interesse. Leggendo poi la biografia dell’autore mi viene da pensare che la storia potrebbe essere stato un modo per esprimere il suo malessere. Visto che sembra fosse una persona originale e forse anche simpatica ha deciso di condividere i suoi incubi piuttosto che tenerseli dentro. Del resto anche nella “misteriosa” biblioteca “non si trovavano i testi pubblicati dagli editori, ma scritti di privati cittadini, che rivelavano i loro pensieri più intimi e profondi, molto spesso terribili, e li mettevano in condivisione con altri cittadini come loro.” (4) La storia del libro mi sembra che sia stata presa proprio da quella Biblioteca.
Ho letto qualche commento in Rete e, in molt, hanno evidenziato che l’autore ha descritto (con enorme anticipo sui tempi) una realtà che solo oggi conosciamo. In effetti anche io ho trovato una citazione che ricopio e che sembra la descrizione di un social coso: “Sorvoliamo sulla tendenza diffusa in molti cittadini di affidare i propri umori a certe rubriche giornalistiche, a certe emittenti radiofoniche… Certo è che da quei mezzi di informazione si passò a un limaccioso sottosuolo, un bacino di scarico dove ognuno poteva rovesciare ciò che voleva, tutta la poltiglia che teneva dentro. Ha mai visto nascere qualcosa da un immondezzaio?” (36)
Il libro mi ha comunque incuriosito e mi era venuto il dubbio che mi fossi perso qualcosa e per questo mi sono letto subito dopo “Il diavolo è nei dettagli, la storia de Le venti giornate” di G. Arduino, una quarantina di pagine dove credevo di trovare una qualche chiave di lettura del libro di De Maria o qualche dettaglio che mi era sfuggito. Mi sono trovato invece a leggere una storia, per me non molto originale o interessante, sul rapporto tra l’autore e alcune persone che hanno o hanno avuto in qualche modo una relazione col libro. Probabilmente i “dettagli” del titolo erano troppo piccoli per le mie capacità di osservazione e mi sono definitivamente sfuggiti.
In conclusione è stata una sofferenza davvero minima, visto il numero di pagine. Non posso dire che il libro mi sia piaciuto ma nemmeno che mi sia dispiaciuto, diciamo che è uno di quei libri che leggo e che poi mi lascia poco dentro.

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