Il cavaliere svedese - Discussione

Non vi lascio in pace neanche in ferie :slight_smile:
Il libro è stato molto gradevole, uno stile di scrittura con molti svolazzi ma ben centrato per la trama.
Mi sono piaciuti i dialoghi, ho trovato i personaggi interessanti in un misto tra folklore, cristianità, esoterismo e superstizione, la trama era ben chiara sin dall’inizio (la sostituzione di persona ecc…) ma nonostante ciò l’ho letto con piacere :blobcatbook:

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Come sempre, quando leggo un libro di un autore che non conosco, evito di andarmi a informare prima perché voglio leggerlo senza troppi pregiudizi. Che il libro abbia una certa età è facile capirlo, soprattutto dal fatto che usa vocaboli non comuni (qualcuno sono andato a cercarlo sul vocabolario) e una costruzione dei periodi poco familiare. Alcuni passaggi non li ho proprio capiti, come questo: “Gli alberi delle prode fan parte del dominico, su di essi il mugnaio non ha alcun diritto, sono olmi e querce, e la quercia è un albero generoso, dice Christian, se ne possono cogliere prosciutti e salsicce.” [73] (!?)
Comunque il libro è stato scritto nel 1936 ma la storia ha l’incedere di una favola, di quelle che si leggevano una volta sui libri per bambin* e ragazz*, anche se gli accadimenti sono per lettori adulti. L’idea di una sorta di scambio di identità tra due persone non è particolarmente originale ma viene gestita decentemente, anche se poi la storia racconta solo la vita di una delle due persone. Nel racconto è chiaramente presente una simmetria di fondo: inizia e finisce nello stesso luogo, il mulino e lo scambio di persona alla fine non muta il destino finale dei due personaggi che infatti muoiono come previsto, come dire che il destino di ognuno è già scritto. Lo sfondo storico del racconto ci dipinge, abbastanza realisticamente, un quadro di una società contadina e povera come doveva essere quella nel 1700 nell’Europa centrale, scossa dalle solite guerre che l’autore ritiene chiaramente non molto simpatiche. Il finale alquanto moralistico e le visioni del giudizio divino si incastrano bene nella trama ma sono le cose che mi sono piaciute di meno. Infine, mi è saltata all’occhio questa frase: “sapeva che all’inferno non poteva esservi peggior diavolo di quello che ciascun uomo è per il proprio simile.” [100] perché mi ha subito ricordato quella famosa di J-P. Sartre (L’enfer, c’est les autres) che gli somiglia assai.

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Ho letto questo libro inizialmente con un po’ di perplessità, perchè, non essendomi informata sui nulla, non ho subito capito che l’introduzione era in realtà parte della storia stessa, ma ammetto di averlo approcciato con un po’ di superficialità tanto che l’ho dovuto iniziare di nuovo :sweat_smile:
a parte però questo inizio traballante, la lettura è stata scorrevole, come una favola dall’incedere scandito da ritmi ben precisi. La circolarità e la simmetria, come anche diceva Pepsy sono abbastanza evidenti e alla fin fine caratterizzano lo svoglimento di tutta la storia, proprio perché il destino pareggia i conti malgrado i protagonisti. Ci sono alcuni elementi esoterici/misterici interessanti, uno di questi è rappresentato dal mugnaio morto, personaggio che trova compimento alla fine, l’altro elemento è l’arcanum, sorta di talismano porta fortuna che rende “invincibile” chi lo possiede, che però non viene molto approfondito, alla fine il discorso qui viene lasciato un po’ morire così.
Per il resto ho trovato la struttura semplice e facilemente seguibile, nessuna novità nello scambio di identità e in quello che ne deriva, tutto ciò fa sì a mio avviso che il libro complessivamente risulti godibile, anche riguardo le scelte dei registri linguistici, in alcuni casi un po’ forzate, ma che rendono comunque dinamico il tutto.

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Una lettura piacevole e molto scorrevole, ambientazione molto curata che indica che l’autore ha una profonda conoscenza del periodo storico e del territorio di cui narra, e già per questo è molto interessante. La trama come già si diceva è semplice e prevedibile ma non sembra il punto di forza del libro che a mio avviso è altro.
Mi è piaciuta la parabola del brigante e ladro che si redime per una spiccata voglia di riscatto, e per l’affetto verso una ragazza lasciata sola nelle mani di loschi individui parassitari, convinto di saper fare meglio di molti signorotti (cosa che in effetti poi fa), e del soldato tutto onore e gloria che finisce a spaccarsi la schiena nelle fonderie vescovili.
Ma il destino torna sempre a presentare il conto e il finale “rimette le cose a posto”.
Ho particolarmente gradito l’evidente idiosincrasia dell’autore verso il potere religioso, prima mettendo un vescovo nel ruolo di uno dei personaggi più orribili del libro, tra fonderie, torture, condizioni di lavoro inumane e poi portando la banda di ladri a rubare nelle chiese con motivazioni filosofiche ben argomentate. Notevoli anche i personaggi secondari dai nomi fantasiosi (Collotorto su tutti :heart_eyes: ) sempre presenti nel racconto e ben “disegnati”, così come il barone del malefizio, antagonista pericoloso e feroce ma sempre un passo indietro. Le sfumature fantastiche ed esoteriche sono dosate con cura e arricchiscono la narrazione senza appesantirla, forse un po’ eccessive le considerazioni e riferimenti religiosi con tanto di momento onirico davanti al giudizio divino e l’angelo con la spada de foco in stile Mario Brega.
Tutto sommato mi è piaciuto e l’ho letto con piacere.

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Il libro mi è piaciuto specie nella sua circolarità non scontata. Come anche lo scrivere antiquato e i vocaboli non comuni… hanno sempre una certa gradita musicalità questi scritti. Il tutto condito da talleri, doppi talleri, ducati e kreuzer, birra magdeburghese, castigamatti, gastaldi, visdomini, pulzelle e dragoni.

Nel romanzo non vi sono mai i nomi reali delle persone ma solo soprannomi, più o meno inquietanti (barone del malefizio) o divertenti come (Mammola, Fraginepro, Brabantino, Collotorto, etc). Interessante notare che il nome del protagonista cambia nella storia da semplice ladro, a cavaliere svedese fino ad arrivare a “senzanome”, appunto per evidenziarne il percorso.

La storia è molto scorrevole e divertente. Mi sembrava davvero di vivere nel 1700.
Inizia dalla fine con una anonima Maria Christine che scrisse le sue memorie e e poi si ricongiunge con la Maria Christine bambina a cui è impossibile non voler bene. Inizia con un ladro che scambia l’identità con un cavaliere svedese e poi dopo 9 anni se la riscambiano. Da brividi la scena di quando la bambina recita il Padrenostro, per far un favore alla madre, per la bara di un pover uomo che lei non sa essere effettivamente suo padre.

Gli elementi magici superstiziosi fanno parte delle credenze popolari dell’epoca, il mugnaio morto con il farsetto rosso e il cappello da carrettiere, che sembra muovere le redini della storia: alla fine della prima parte recita: “Quello non mi sfugge, lo rivedrò. Dice che vuole andare nell’esercito svedese, ma non vi arriverà….”
Altro elemento magico è l’angelo della morte che alla fine sembra far esaudire il desiderio del padre facendo morire in battaglia anche il vero cavaliere svedese in modo che si sparga la voce che sia morto e così la figlia non pensi che se ne sia dimenticato… “e dica un padrenostro per l’anima mia” adempiendo al suo dovere filiare.

Altri elementi di superstizione sono gli scongiuri, di cui il ladro sembra non poterne fare a meno. E guai a farne uno sbagliato. Per ogni malattia, piaga o ferita ve ne è uno adatto, ma anche per scacciare i fantasmi. Avendo parenti in Basilicata, mi ricorda molto quando qualcuno ha il mal di testa e subito si pensa al malocchio e per tirarlo via devono pregare e subirne loro le conseguenze (sapore amaro in bocca fino a vomitare)… funziona (dicono) ma più per condizionamento che per altro.

Nelle credenze ci rientrano anche gli affari che non sono validi se prima non si è bevuto sopra un bicchiere di acquavite.

Il marchio della infamia sulla fronte ricorre spesso come spauracchio e alla fine al nostro eroe viene impresso dalla sua ex amante. E pensare che aveva deciso di portarla con sé durante le sue scorribande solo perché sapeva e aveva recitato lo scongiuro giusto contro le ferite che aveva un tal potere magico da costringere il sangue ad arrestarsi.

Mi piace questo ragionamento: “Perché Dio non ha fatto gli uomini tutti cristiani? Perché ci sono tanti Turchi e tanti Giudei? Qui qualcosa non va come dovrebbe andare». Forse Dio non vuole che troppi uomini guadagnino il paradiso.”

Ma anche: “«Cerca un ciottolo asciutto dentro il mare, ma non venire a cercar me, non dovrai ritrovarmi mai più, per l’eternità.” Oppure: “ «I tre grandi guai, capitano: le donne, i dadi e i tavernieri!»”

Un po’ noiosa la vita che il cavaliere sceglie di avere alla tenuta per 7 anni tutto per amor di una donna, da cui poi avrà una figlia. Certo, era esperto di tutto quello che riguardava come mantenere la proprietà terriera e per potersela permettere ha dovuto darsi al brigantaggio divenendo un predatore di chiese, ma alla fine sceglie una vita semplice e neanche troppo agiata. Come dire che a volte la felicità risiede nelle piccole cose.

Carina la canzoncina dei tre re Magi della bambina e dolce quando il padre evadeva ogni notte per mesi scalando la rupe solo per vederla di notte.

Ci sono elementi catartici che si ripetono spesso anche se poi non sono fondamentali. Il giustacuore ne è un esempio anche perché sotto vi si cela il famoso “arcanum”, la Bibbia di Gustavo Adolfo che la portava sotto la corazza quando cadde a Lutzen ed è imbevuta del suo sangue. Quest’ultimo elemento altro non è che un portafortuna che verso la fine esaurisce le sue energie se non quando passa di nuovo in mano al suo vero proprietario.
Ho notato che ci sono termini che ricorrono spesso come le gelosie della finestra.

Nota a margine: ero al mare quando l’ho letto e, come spesso mi capita, mi sono ritrovato nello stesso tempo a leggere un libro giallo comprato ad una bancarella il cui titolo mi aveva incuriosito e che portavo con me in spiaggia: L’Automa di John Dickson Carr. Ebbene anche qui c’è uno scambio di identità che solo dopo anni si viene a sapere… potete solo provare ad immaginare come nella mia testa i due racconti si siano intrecciati tra di loro. Se questa non è serendipità!

Ultima nota: [quote=“pepsy, post:2, topic:114”]
“Gli alberi delle prode fan parte del dominico, su di essi il mugnaio non ha alcun diritto, sono olmi e querce, e la quercia è un albero generoso, dice Christian, se ne possono cogliere prosciutti e salsicce.”
[/quote]
dovrebbe significare pressapoco: gli alberi che crescono lungo i bordi dei campi (le prode) sono di proprietà del signore e il mugnaio non ha alcun diritto su questi, nonostante le quercia siano alberi generosi ovvero di grande utilità.

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Sulla questione delle querce da cui “se ne possono cogliere prosciutti e salsicce”, credo sia anche perché producono le ghiande di cui i maiali sono ghiotti.
Ma è solo una mia supposizione.
Sul tuo commento invece, ti sei perso un pezzo a questo paragrafo:
“Certo era esperto di tutto quello che riguardava e per potersela permettere ha”…[ ]
Ha? che ha fatto? Voglio saperlo :grin:

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Ahahah hai ragione… mi sono perso un pezzo … avendo scritto tutto il commento col cellulare capirai come sia facile perdersi qualcosa. Comunque quello che volevo dire era:
“Certo, era esperto di tutto quello che riguardava come mantenere la proprietà terriera e per potersela permettere ha dovuto darsi al brigantaggio divenendo un predatore di chiese, ma alla fine sceglie una vita semplice e neanche troppo agiata. Come dire che a volte la felicità risiede nelle piccole cose.”

Si credo che hai centrato l’interpretazione!

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Anche qua si usa dire “lascia stare le querce che ci escono i prosciutti” perché con le ghiande si allevano i maiali.
Mi è piaciuta proprio la descrizione accurata dei lavori nei campi, ho potuto collocare meglio modi di dire e vocaboli relativi al lavoro contadino.
Anche il procedere del racconto a mo’ di fiaba mi ha divertito, rendendo scorrevole la lettura nonostante tutte le litanie pro divino.

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Ringrazio tutt* per le spiegazioni relative al pezzo che non avevo capito. A mia discolpa il fatto che l’unica e ultima volta che ho fatto una vacanza in campagna eravamo nel XX secolo :slight_smile: e io avevo meno di 8 anni… ricordo però che fu una vacanza molto istruttiva in quanto imparai a dare da mangiare alle galline (allevate terra-terra) e al maiale, nutrito con gli avanzi di pranzo e cena, roba che se fosse esistita la raccolta differenziata nell’umido ci sarebbe stato il vuoto assoluto. Partecipai, per modo di dire, anche all’mbottigliamento dei pomodori il che mi provocò una certa nausea durata per anni e un trauma mai del tutto risolto. Probabilmente devo aver bevuto anche del latte appena munto.

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Eccomi con un po’ di ritardo! In estrema sintesi, dato che avete detto tutto, questa versione più crudele e 700sca di “Una poltrona per due” mi è piaciuta. La trama semplice ma solida la ritengo un punto di forza (sicuramente deve la sua fortuna ad una tradizione ben collaudata sullo scambio di persona).

La cosa che ho stranamente apprezzato è la dovizia di particolari ben piazzati, che sono anche a dimostrazione di un autore che sa quello che sta trattando: ma credo soprattutto che l’apprezzamento sia dovuto al fatto che ogni dettaglio è usato in modo funzionale nell’economia della trama e non fine a se stesso come in altri libri che mi tediano.

Infine per evidenziare giusto un paio di cose per dare un contributo personale alla discussione: avrei apprezzato e sperato che il libro continuasse spingendo, fino al finale, sull’acceleratore della “brutalità” sovvertendo completamente i canoni di racconti epici-cavallereschi. Tipo un ladro che nonostante tutto avrebbe continuato a sfangarla in barba alla religione e tutto il moralismo che si porta appresso (e comunque i cenni di critica mi hanno fatto stare bene eh).
Un’altra cosa per cui avrei apprezzato maggiormente il libro sarebbe stato mantenere la dimensione sovrannaturale sul confine labile del verosimile senza farci capire, come nel finale, se stessimo davvero sconfinando nell’ultraterreno. Ma tant’è; libro apprezzatissimo!

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Ho finito pochi minuti fa di leggerlo (il caldo mi ha rallentato ogni cosa, anche la forza/voglia di leggere) e non ho molto da aggiungere a tutto quello che avete detto solo che, da appassionata di romanzi ambientati in quel periodo storico, ho immaginato più volte di trovarmi a fianco del protagonista, soprattutto tra i boschi e in piccoli villaggi, alla ricerca di felicità fatta di piccole cose

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Allora allora parliamone, perchè sto trauma da imbottigliamento della passata di pomodoro ce l’ho anche io e non riesco a capire bene il perchè. Mi ricordo che i miei nonni facevano sta mattanza di pomodori anche qui a Roma, comprandone cassette su cassette e poi riducendo la cucina ad un manicomio. Io ero bambina, e nonostante non succedesse nulla di che se non l’infinito ribollire dei pomodori e tutto il resto, il mio ricordo è “guastato” da un che di disturbante. Sarà tutto sto rosso che un po’ forse ricordava il sangue? Sarà il caldo che ricordo come fosse ora, un caldo soffocante in quella cucina? Boh… La stessa sensazione ce l’ho anche quando ripenso alla medesima operazione svolta però in Sicilia, dove invece che in cucina si faceva nei garage adibiti a mini salotti con angolo cottura, in genere più freschi delle case sovrastanti e più “da battaglia”. Mi ricordo che passando per strada vedevi sti garage aperti e le persone con i pantaloni tirati su a cuocere e passare pomodori.

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In effetti, ripensando al libro in maniera un pochino più distaccata dato che l’ho finito ormai da un po’, la descrizione dlel’ambientazione funziona veramente bene, ti sembra di stare lì con lui. Riesce a farti immergere in quel periodo storico.

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Si stessa sensazione anche io! Merito dell’autore allora se tutti abbiamo avuto questa impressione

Io non ho traumi ma ricordo vivamente che la domenica mia zia si alzava alle cinque per fare il sugo di pomodoro che bolliva bolliva e pranzi luculliani con intere tavolate di persone che mangiavano. Sarà che forse l’imbottigliamento del sugo di pomodoro non l’ho mai seguito in quanto io abitavo in città e andavo dai miei parenti in campagna nei weekend quando questi lavori di solito, proprio per far spazio ai pranzi infiniti, erano rimandati.
Ma invece ricordo che quando raccoglievo per tutto il giorno i pomodori nel campo… la notte anche se sfinito… sognavo solo pomodori … ecco questo si che è mi è rimasto in mente dopo tanti anni. Anche a voi capitava lo stesso?

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hahahahahah di sognare pomodori no, anche perchè il mio raccoglierli era perlopiù un gioco da bambina che facevo con le cugine e i cugini. Però a quanto vedo i pomodori in un modo o nell’altro ci hanno segnat@ :rofl: :rofl: :rofl:

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vabbè, se volete superare il trauma con una terapia d’urto potete venire da noi che tanto il mese di agosto è un continuo via vai di pomodori a casa nostra
:rofl:

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Per fare una riflessione alternativa, volevo far notare la grande conoscenza del personaggio e quindi dell’autore nelle faccende agricole, e mi ha colpito molto il modo in cui il ladro/cavaliere parlava dei lavori da fare, di come organizzare le messi e le semine, di come conservare le sementi o il foraggio, di come e quando coltivare qualsiasi cosa, come trattare gli animali e come difenderli dal freddo e le malattie, come gestire il territorio, le acque e la manovalanza. Una vita scandita e assorbita completamente dal calendario naturale di semina, crescita, raccolta oppure dal ritmo del bestiame e piccoli animali.
Ma dove voglio arrivare con questo?
Voglio arrivare al fatto che sono egoisticamente felice e riconoscente di vivere in un epoca in cui se vuoi mantenerti un orto non devi barattare la tua vita, che se voglio dieci piante di pomodori vado al vivaio e le compro già innestate, che l’impianto si occupa di annaffiare e che la motozappa fa quasi tutto il lavoro (quasi!), i concimi li compri al mercato e per gli insetti e i parassiti ci sono prodotti specifici (e trovi tutto biologico se ci fai attenzione).
Certo il paragone andrebbe fatto con grossi appezzamenti agricoli, ma anche lì conoscenze e nuove tecnologie hanno semplificato incredibilmente il lavoro.
E se proprio devo fare una polemica, l’unica cosa che non è cambiata affatto è lo sfruttamento feroce dei lavoratori.

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Devo dire che, dato che dovevo leggere in inglese per prepararmi agli esami di settembre, volevo leggere i romanzi di Lindsey Davis e non ‘Il cavaliere svedesi’. Leggere senza voglia è una tortura e impedisce di godersi la lettura, ma finalmente l’ho finita e sono riuscita a trovare delle cose buone.

Non posso aggiungere niente a quello che avete già detto, ma ci proverò.

Innanzitutto, le ragioni del ladro per giustificare le sue azioni mi hanno ricordato un po’ il genere letterario della picaresca: lui non è cattivo, è la necesità a spingerlo.

Quando lui è stato giudicato dall’angelo e la punizione è stata non poter raccontare il suo segreto, devo dire che la mia reazione è stata molto cristiana (essendo atea): ho pensato che lui non avrebbe potuto confessare i suoi peccati al prete prima di morire e la sua anima sarebbe finita all’inferno. Non pensavo che fosse il modo per aggirare l’incantesimo di sua moglie, quando lei gli fa domande mentre dorme.

La scena finale del Padrenostro mi è colpita un po’.

Non conoscevo né l’autore né la sua opera, quindi penso di aver imparato qualcosa di nuovo :woman_shrugging:

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