Il Deserto dei Tartari

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Discussione sul primo libro di #GattiNinjaBookClub

Ricopio i messaggi da bookwyrm (che figo questo forum! :call_me_hand:):
È come se Buzzati avesse rovesciato la teoria del piacere leopardiana per poi schiantarla addosso a tuttə, a chi legge e al romanzo stesso: il tempo una volta trascorso tra attesa e fantasticazioni fini a se stesse non è piacevole ma una condanna ad una vita infelice.

È sorprendente quanto intrattiene un racconto che per tutta la sua durata resta sospeso in un’attesa via via sempre più deprimente, anzi arrivando a dire che bisogna rassegnarsi, perchè le cose sono così: Drogo è il naturale protagonista destinato per affinità ad un luogo del genere. Ho anche apprezzato alcuni elementi tragicomici (su tutti il falsoallarme di un’invasione) ma meno il finale (a mio avviso dello stesso tono): sbrigativo a congendarsi da Drogo facendogli accettare e apprezzare in quattro quattr’otto la sua esistenza (probabilmente l’editore non avrebbe accettato un finale totalmente amaro).

Edit: mi viene da ritrattare quest’ultima parte, perchè come molti, mi convince più l’idea che l’autore abbia (consapevolmente o meno) toccato temi e aspetti universali in cui chiunque possa riconoscersi, anche nella vita più entusiasmante e ricca. E pertanto un finale “lieto” vuole essere anche un congedo felice da una vita che per quanto triste è comunque stata degna di essere vissuta (detto ciò il libro continua a non lasciarmi soddisfatto al 100%).

Mi chiedo inoltre (senza aver trovato riscontri, se qualcunə avesse fonti le condivida :slight_smile: ) se la scelta di ambientare la storia tra le milizie volesse avere una sfumatura satirica, a maggior ragione perchè Buzzati* ha avuto una formazione militaresca.

Citazioni che mi sono piaciute

Cap 17

“Di notte, nelle camerate, le assi che sostengono gli zaini, le rastrelliere per i fucili, le stesse porte, anche i bei mobili di noce massiccio nella camera del signor colonnello, tutti i legni della Fortezza, compresi i più antichi, mandavano scricchiolii nel buio. Certe volte erano colpi secchi come pistolettate, sembrava che qualche cosa andasse veramente in pezzi, uno si risvegliava nella branda e tendeva le orecchie: nulla però riusciva a sentire se non altri scricchiolii che bisbigliavano nella notte. Ecco il tempo in cui nelle vecchie assi risuscita un ostinato rimpianto di vita. Moltissimi anni prima, nei giorni felici, era un giovanile flusso di calore e di forza, dai rami uscivano fasci di germogli. Poi la pianta era stata abbattuta. E adesso che è primavera, in ognuno dei suoi frammenti ancora si sveglia, infinitamente minore, un palpito di vita. Un tempo foglie e fiori; ora soltanto un vago ricordo, quel tanto per fare crac e poi basta fino all’anno venturo”.

Cap 24

Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangano sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita."

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Un libro sull’attesa, ma anche sul servilismo, Drogo è un piccolo uomo che non sa pensare con la sua testa e prendere decisioni ferme, si fa inglobare dalla “sicurezza” di una vita scandita da ritmi, lontana da qualsiasi tentazione, cambiamento e dinamismo che lo potrebbero portare a decidere e a cambiare.
In attesa di qualcosa che possa dare alla sua vita un senso, una morte da eroe o un solo dire “io c’ero”.
Posto poi chinare il capo ed essere deluso anche quando poteva essere almeno spettatore.

Il libro non mi è particolarmente piaciuto ma mi ha trasmesso quel senso di inadeguatezza, costrizione e mancanza di volontà.

Drogo è un personaggio brutto, uno di quelli che mentre leggi un libro con più storie vuoi scrollarti di dosso presto, un riempitivo.
Ecco, di un riempitivo è stato fatto un personaggio, lui non è niente, come niente arriva e come niente se ne va, senza aver compiuto nulla di notabile, senza che sia conosciuto o ricordato neanche quando dopo una vita di caserma e nonostante sia un graduato viene preso per il culo dai giovani che vanno in guerra a “morire da eroi”, invidia anche il gesto stupido di Angustina che muore assiderato solo perché il momento era propizio a fare una fine degna.
È tanto inutile che Buzzati gli fa saltare 25 anni di vita con una pagina a dimostrazione del fatto che vive in uno stato di stasi, attesa, del tutto trascinato dalla vita e dal tempo.

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Copio anche io i miei interventi da Bookwyrm:

Va bene, apriamo le danze in grande stile con una domandona:
Secondo voi, cosa voleva comunicare l’autore ai lettori con questo libro?

E metto qui la mia.
Non ho un’idea precisa, ma penso che volesse comunicare due cose, partendo dall’insensatezza della vita senza scelte o senza il coraggio delle scelte, in attesa di eventi futuri propizi che possano cambiare le cose, esattamente nel modo in cui Drogo non sceglie mai veramente di andarsene da un luogo che sembra tenerlo bloccato in una prigione senza catene, e in contrapposizione l’idea che una vita abitudinaria, statica e senza gloria, possa essere comunque una vita degna di essere vissuta, fino alla fine, tra piccole cose, poche persone amiche, routine marziali familiari e un luogo che nonostante tutto diventa casa.

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alla fine a me ha fatto compassione e pena. Vedersi la vita scorrere tra le dita senza voler o poter far nulla, con speranza passeggere che svaniscono sistematicamente aumentando l’apatia e la rassegnazione. La continua ricerca di un obbiettivo, di una fine grandiosa nell’attesa di un esercito nemico che non arriva mai se non quando è troppo tardi.
Certamente un personaggio deprimente, mai soddisfatto, inconcludente e a tratti cinico, costretto a giocare un ruolo imposto (e in parte voluto e accettato).
Mi ha colpito il momento in cui, tornando dalla città incontra un giovane ufficiale diretto alla fortezza, e si rende conto in quel momento, ricordando il suo arrivo, di tutto il peso degli anni, il ribaltarsi dei ruoli, la consapevolezza di essere diventato quello che non avrebbe mai voluto (“massimo quattro mesi” si diceva). Lo schiaffo in faccia dato dal tempo, che da giovane credeva infinito, fino a quando non gliene rimane più.

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Aggiungo questo contributo da mastodon perché mi ha fatto ridere:
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Che è anche un modo per testare il caricamento di immagini.
Il link al toot originale è qui:

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Allora, premetto che a un certo punto l’ho dovuto mollare per un paio di giorni perché Drogo mi innervosiva, la sua passività esasperante era diventata claustrofobica. Detto questo lui, secondo me, è un non-personaggio, sospeso in un non-tempo, totalmente succube del ritmico fluire di un non-luogo. Un uomo banale, piccolo e che non sa alzare la testa in nessun momento, lascia che la vita gli fluisca addosso e d’improvviso si ritrova vecchio senza aver concluso nulla. Trovo che sia una grossa critica sociale verso quelle ideologie che in generale portano a non fare nulla perché tanto nulla serve a cambiare le cose. Nemmeno l’ingiustizia riesce a fargli scrollare di dosso la passività, la vede, la riconosce, ne soffre, ciononostante la manda giù, incapace di imporre la sua personale scelta. Quello che traspare leggendo è che nei casi come quelli di Drogo, ciò che succede è l’abbandono ad una vita totalmente abitudinaria, dove non c’è bisogno di fare scelte personali perché tanto risulta tutto già stabilito e ordinato. In questo l’ordine marziale, la vita di caserma, è un esempio perfetto con i suoi ritmi e attività spesso totalmente inutili e senza senso, fatte solo perché devono essere fatte e non per una vera utilità. Quanto è più facile per chi ha un temperamento come quello di Drogo, lasciarsi comandare anziché prendere in mano la propria vita?

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Copio pure io quello che ho scritto di là:

Arrivo veloce come Drogo nel mio commento, mi sembra giusto così.
Non so dire se il libro mi è piaciuto oppure no. Questa per me è una rilettura, la prima volta lo lessi lo scorso anno e mi piacque. Riletto ora mi ha lasciato un retrogusto sgradevole. Forse dipende dal periodo che sto attraversando, e leggere di una continua sospensione in attesa di qualcosa di indefinito, qualcosa che non accadrà mai, una vita che scorre scivolando tra le dita, insomma non mi risuona bene ora come ora. Non lascia scampo, è pura inazione e inettitudine, ma senza il giudizio e lo sprone a scuotersi, a fare. L’inevitabilità di una vita inutile.
In tutto questo non si salva nulla, e anche se ci si agita per fare, per trovare uno scopo, finisce in niente. Come gli appostamenti, vani e inconcludenti.
Però Drogo come nome stupendo!

Citazione:

A poco a poco la fiducia si affievoliva. Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.

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Ho letto questo romanzo per diverse ragioni: l’hanno scelto per il bookclub della Associazone di Italiano a Siviglia; ho letto qualche opera di Buzzati e mi affascina; parlo l’italiano così male che devo approfittare tutte le occasioni per praticare un po’.

Di solito non so riconoscere le metafore, ma nella copertina del libro il proprio Buzzati raccontava di aver scritto questo romanzo mentre stava lavorando nel Corriere della Sera, non arrivava il succeso e tutti i giorni sembravano uguali. Ho quaranta cinque anni, un lavoro noioso e non sono riuscita a scrivere il romanzo che voleva scrivere quando ero giovane e pensavo che le mie idee fossero originali, quindi questa premessa di Buzzati mi ha colpito. Ho detto che non so riconoscere una metafora, ma questo romanzo e facile di capire, non si cela questa idea di realizzazione (si usa questa parola nel senso di obbietivo racgiunto in italiano?). Mi stupidisce come Buzzati riesce a trasmettere questa idea del tempo che passa mentre noi siamo fermi mentre pensiamo di avere più tempo, che la occasione deve arrivare. Il tempo ci trascina ma noi nom siamo consapevole e questo e molto triste.

Drogo guarda i suoi concitadini, che hanno i suoi negozi, le sue famiglie, ma hanno una vita piena? Io penso di no. Penso anche che sia molto notevole riempire tante pagine di nulla, di attesa, di ore che sono tutte uguali. Anche il paesagio e così vuoto che un’ombra, una luce, è l’augurio di un cambiamento.

Non è facile sprimere pensieri complessi un una lingua straniera, ma spero che si possa capire quello che volevo dire. Per me, una lettura assolutamente sbalorditiva, un capolavoro.

Correzioni sono ammesse, mi manca molto per imparare.

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Complimenti, scrivi molto bene in italiano. E la storia del Corriere della sera non la conoscevo, grazie per averla citata.
L’unica correzione che vorrei farti è “stupisce” al posto di “stupidisce”, il resto sono piccolezze.

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Aggiungere uno scatto è più rapido che scrivere tutto il testo :sweat_smile: Così potete vedere quella affemazione di Buzatti.

Grazie per il tuo commento!

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Immagino che questo sentimento di vuoto e di inutilità prima o poi venga provato da tutti, o meglio, da tutti quelli con un minimo di senso critico per potersi fermare a riflettere un momento sulla propria vita. Non conoscevo questa storia del corriere, però trovo significativo il fatto che parta da una sensazione personale di un particolare momento della vita dello scrittore, che a sua volta riesce a trasformarla in parole e in tal modo a renderla universalmente riconoscibile.

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Benritrovati a tutti! Riscrivo anche io, per tenerne traccia, il mio commento al libro postato su Bookwyrm.

Bello, non l’avevo mai letto. Mi piace come ha descritto la vita monotona e noiosa alla Fortezza in attesa di un attacco che sembra non arrivare mai. Come poi alla fine il tempo passa per tutti anche per il giovane Drogo che alla fine giovane non sarà più e, proprio nel momento clou della sua vita, come una beffa del destino, dovrà andare via perché vecchio e malato. Si sente l’atmosfera opprimente e claustrofobica della Fortezza, e il senso di isolamento e disperazione che pervade i personaggi. Il romanzo tratta temi universali come la solitudine, l’attesa, la delusione e la morte ma lo fa in una maniera che personalmente mi hanno coinvolto non poco. In certi punti, ahimè, mi ci sono anche ritrovato, tanto da empatizzare un po’ con il protagonista perché certe volte mi sono fermato a riflettere come nella vita a volte ci si trovi ad attraversare dei periodi in cui non si conclude niente, perso nel solito tram tram: ti alzi, vai al lavoro, torni a casa e la giornata finisce. Alla fine non c’è molta differenza tra la vita di Drogo e questi periodi che credo tutti, prima o poi, attraversiamo. La cosa bella è che poi a noi ci è permesso svegliarsi e dare un senso alla vita, e la viriamo più o meno bruscamente da un’altra parte, mentre lui si è adagiato e non combina più nulla. Tutti alla fine lo dimenticano ma non è forse la paura più grande di tutti noi, non essere più ricordati?

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Molto bello.
Racconta anche la vita di molti di noi, no? Vivere sempre gli stesse giorni uno dopo l’altro con pochi momenti rilevanti. Così fino alla morte.

Una altro tema che voglio approfondire è quello degli: “altri”. Mi spiego. Giovanni torna in città, non trova più gli amici e i fratelli. Loro sono altrove viaggiano, hanno una famiglia, hanno una posizione, in pratica lui specula che abbiamo raggiunto l’auto realizzazione.

Super parentesi Questo atteggiamento lo ritrovo nelle persone. Molte sul social livello segreto, su puntarella no. Credo dipenda dal fatto che su LS le persone si sentano più rilassate a confidarsi, e non dal fatto che altrove le persone siano più equilibrate (anche in puntarella).
Fine parentesi
Questa concezione degli altri è totalmente falsa. Gli altri soffrono tale e pari come noi e come chiunque altro (come Giovanni e i compagni nel forte). Come dice la canzone dei REM: everybody hurts. Non c’è alternativa se non la morte forse. La sofferenza ci rende umani e ci unisce. Buone sofferenze a tutti.

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È piuttosto normale immaginarsi che i fantomatici altri abbiano realizzato e/o capito molte più cose di noi. C’è da dire che anche noi siamo altri, per gli altri.

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Io non me li immagino cosi gli altri. Gli immagino tali e uguali a me.