Malacqua - Discussione

Eccoci qui a discutere il libro più prorogato soprattutto per il rapporto tempo/numero di pagine del club di lettura :blobcatbook:
Per quanto mi riguarda ho fatto fatica a finirlo nonostante sia corto, capisco che dietro alle vicende c’è una critica sociale importante alla politica dell’epoca, alla città ed i suoi abitanti stessi, e che vuole anche essere profonda, ma non ho sopportato fin dalle prime 2 righe la prosa, l’ho trovata ostica al farmi entrare nel libro ed abbracciare quello che lo scrittore ci voleva dire.
Il libro ha elementi che possono essere inseriti in una sorta di realismo magico, ha però anche molte cose/storie marginalmente toccate che sono sconclusionate e puramente riempitive anche se è un libricino.
Alcune cose mi hanno lasciato un po indispettito, ad esempio

Con la scusa dell’autobus che sbatte, ogni tanto si sbattevano duri contro le domestiche, ma le domestiche ormai avevano imparato bene il giochetto e non lasciavano più esposte né in evidenza le parti di dietro, e anzi anzi se ne stavano con questi sederi loro rinserrate contro le fredde pareti di metallo del grosso mezzo pubblico, e di tanto in tanto ci poteva anche scappare una manata, non era poi un gran danno, l’importante è che la cosa non assumesse aspetti patologici o di fissazione maniacale. In definitiva una mano di uomo sul culo, per quanto volgare, è pur sempre un atto di omaggio, un tributo di stima. E insomma c’erano come suol dirsi notevoli difficoltà nei collegamenti.

Non lo commento neanche.
Si riprende poi nel finale quando si capisce in modo più pesante la critica attraverso Carlo che inizia a “sperare” una sorta di distruzione o deturpazione della città grazie all’acqua, poiché la vede non più salvabile da tutto il marciume politico e umano che la circonda e di cui è intrisa.

E questo restava, della città impagabile, questo soltanto, e l’ombra d’un passato scolorito e la retorica che pretendeva di essere poesia, e nulla, e nulla, e quale città diversa avrebbe vissuto un giorno?, quale città?, quella dei vicoli e dei travestiti e delle sigarette di contrabbando?
[…]
e questo diventerai, città mia dolentissima, nient’altro che un ammasso di frattaglie maleodoranti marce, e il tuo fetore si mischierà al fetore della nafta che verserò sul mare a ricoprire, questo sarai e non altro, una chiazza giallastra puzzolente fetida, con i miasmi della decomposizione ormai vicina, il tuo gran corpo abbandonato di puttana sarà putrefazione, squallida vergognosa morte inarrestabile.

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Devo ammettere che lo stile di scrittura ostico di Nicola Pugliese mi ha messo alla prova sin dalle prime pagine, ma, a poco a poco, il libro ha iniziato a coinvolgermi. Ho impiegato un po’ di tempo a digerire l’uso insistente della ripetizione e quell’atmosfera che richiama il resoconto giornalistico. Se avete notato l’autore, infatti, utilizza spesso parole e frasi ripetute per sottolineare un concetto o creare un ritmo particolare. Ad esempio, la frase “che scende come pioggia che scende” enfatizza l’inesorabilità della pioggia su Napoli, mentre “verificare meglio, verificare meglio” cattura l’ansia e l’incertezza delle autorità di fronte agli eventi inspiegabili che accadono nella città. A tratti, però, la sua prosa diventa asciutta e precisa, come se stesse scrivendo un vero articolo di cronaca, riuscendo persino a creare un ritmo incalzante che ti trascina.

Un altro elemento che mi ha sicuramente affascinato è stata la presenza di dettagli surreali e grotteschi: bambole che parlano, monetine che suonano. Questi elementi conferiscono al romanzo un’atmosfera sospesa, a metà tra il sogno e la realtà, riuscendo a fondere magistralmente il quotidiano con il fantastico, creando un universo narrativo unico, dove realismo e immaginazione convivono in perfetto equilibrio.

Il protagonista, Andreoli Carlo, è un giornalista del quotidiano “Roma” ed è il filtro attraverso cui osserviamo la città e gli eventi misteriosi che si susseguono. Il suo scetticismo e disincanto lo rendono un osservatore privilegiato, ma nonostante il suo atteggiamento cinico, Andreoli è profondamente legato a Napoli. La sua inquietudine cresce di pari passo con quella degli abitanti, e l’attesa di un “grande accadimento” lo spinge a confrontarsi con le sue stesse paure.

Ho poi scoperto che Andreoli altro non è che un riflesso dello stesso Nicola Pugliese, come conferma anche la frase: “Racconterà persone e cose di un’immutabile stagione di stagioni prestando la sua immaginaria identità al cronista che all’anagrafe risulta Nicola Pugliese”. Infatti, Pugliese scrisse Malacqua ispirandosi a un fatto di cronaca. Verso la fine degli anni Sessanta, viveva a Napoli e lavorava proprio al quotidiano “Roma”. Non nascondeva la sua insoddisfazione per il lavoro di giornalista, un’attività che aveva intrapreso seguendo le orme del padre. In quel periodo, Pugliese si occupava personalmente della cronaca di alcuni crolli e sprofondamenti avvenuti in città, eventi che costarono la vita ad una decina di persone. Anche in questo caso, il confine tra realtà e finzione si sfuma, rendendo ancora più affascinante il ruolo del narratore come osservatore attivo della realtà.

Il libro fu pubblicato per la prima volta nel 1977 da Einaudi grazie alla spinta di Italo Calvino, che intuì la bellezza e la novità della scrittura di Pugliese (fitta e incessante come la pioggia che racconta). Dopo essere stato lontano dalle librerie per oltre trent’anni, è stato riscoperto e dimenticato più volte, raggiungendo un successo che sarebbe arrivato postumo. Interessante il fatto che fu scritto di getto, in soli 45 giorni, senza correzioni o modifiche, tanto che Pugliese rifiutò persino gli interventi di Calvino. Questo stile spontaneo si nota ed è per questo, forse, che l’ho trovato inizialmente difficile da seguire, anche se poi diventa travolgente, proprio come la pioggia che inonda la città trascinando il lettore in un universo onirico e realistico al tempo stesso.

Malacqua è la cronaca di quattro giorni ininterrotti di pioggia su una Napoli grigia e misteriosa, con la pioggia che causa voragini nelle strade e crolli di edifici. La pioggia, però, non è solo un fenomeno atmosferico: diventa un presagio, una forza inarrestabile che accompagna l’attesa atavica di qualcosa di più grande. A Napoli, non può mai piovere soltanto. È come se dietro ogni evento ci fosse sempre un’ombra più grande.

Un altro aspetto che ho trovato particolarmente interessante è il modo in cui i personaggi e i loro stati d’animo si dislocano e si trasformano durante queste quattro giornate di pioggia. Nel primo giorno, si prova stupore e rabbia per i danni e le morti causate dalla pioggia; nel secondo giorno, le preoccupazioni crescono, e si iniziano a fare congetture e ipotesi, scoprendo anche le bambole. Tra il terzo e il quarto giorno di pioggia, le vite di alcuni cittadini vengono tratteggiate con delicatezza, mostrando come il loro destino si intrecci inevitabilmente con l’acqua che continua a scendere.

Oltre ai misteri e agli eventi bizzarri — come le voci che infestano Castel dell’Ovo, l’enigma delle tre bambole, o il mare che inspiegabilmente si alza oltre i parapetti — quello che mi ha colpito maggiormente (e ancora mi sono rimasti impressi nella mente) sono stati i piccoli racconti intrecciati nella trama principale (come la storia di Cipriani Sara, una bambina di dieci anni, che sentiva la musica nelle monetine). Ho scoperto che Pugliese si trovava più a suo agio con il racconto, e infatti il romanzo sembra quasi un collage di storie collegate dal nubigragio, accomunate dall’incertezza generata dalla pioggia.

Ho notato anche un dettaglio interessante, tipico dei verbali di questura: i personaggi sono indicati sempre prima con il cognome e poi con il nome. Questo espediente potrebbe nascondere il desiderio di Pugliese di mantenere un certo distacco narrativo, ma alla fine emerge comunque il vero protagonista della storia: Napoli, con i suoi angoli misteriosi e la sua gente in attesa.

Tra le righe, ho percepito anche un’allusione ai cambiamenti climatici: i crolli, le frane e la pioggia incessante evocano una sorta di premonizione dei disastri ambientali che vediamo oggi. Forse, Malacqua può essere considerato una delle prime testimonianze letterarie sui cambiamenti climatici. Pugliese ha creato una visione apocalittica, in cui la città sembra liquefarsi sotto la pioggia, in attesa di un “accadimento straordinario” che però non si verifica mai. Il giallo resta insoluto, lasciando il lettore con la consapevolezza che, in un mondo complesso e confuso come il nostro, cercare una soluzione univoca è solo un’illusione.

Una coincidenza personale mi ha reso la lettura di Malacqua ancora più immersiva: lo stavo leggendo proprio mentre a Roma pioveva a dirotto. Questo ha creato un effetto quasi surreale, come se stessi vivendo in prima persona le scene del libro, sentendo la pioggia cadere incessantemente sia sulla città narrata che fuori dalla mia finestra.

Si, anche io avevo trovato questo e forse un altro paio di pezzi un po’ strani… ma forse per un libro del 1977 queste cose erano meno disturbanti

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Pensa che io lo ho letto negli stessi esatti giorni in cui si svolge, forse anche quello (qui pioveva) unitamente alla scrittura che fa sentire la presenza livida del cielo plumbeo quasi anche a percepire l’umidità della pioggia me lo ha reso più ostico, leggerlo in alcuni momenti mi dava una sensazione di disagio

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Premessa: sono napoletano, fine premessa.
Sono abbastanza convinto che la storia raccontata sia una metafora dell’esistenza umana filtrata da note autobiografiche. In questo contesto la città di Napoli è soprattutto un fondale, disegnato con una discreta dose di amara ironia. Il contrasto tra una trama che si sviluppa durante 4 giorni di pioggia in una città universalmente conosciuta come “il paese del sole” è alquanto evidente.
Autore e titolo mi erano ignoti ma leggendo la storia della pubblicazione e la biografia dell’autore mi sono convinto che si tratta di una riflessione ad ampio raggio sulle cose della vita, fatta raccontando piccole storie di persone, molti sono i personaggi, e di fatti nel contesto di una città che potrebbe essere diversa anche se, qui mi faccio prendere dalla partigianeria, a Napoli possono accadere anche avvenimenti incredibili. Come bambole che urlano o monete che suonano. Le voragini che si aprono nelle strade non sono una novità, succede anche altrove, ma questo è chiaramente solo un espediente letterario, così come lo è l’attesa di qualcosa di sorprendente. Chiunque non sia proprio “supergiovane” avrà visto aprirsi “voragini” nella propria vita e sperato in un qualche evento straordinario che cambiasse in meglio le cose. Ma mentre le prime sono inevitabili, grandi o piccole che siano, i secondi - per quanto attesi - spesso non arrivano mai o magari lo fanno ma non ce ne accorgiamo. Nonostante l’atmosfera uggiosa che fa da sfondo al racconto la storia non mi è sembrata particolarmente triste o disperata, basta tener presente che anche la morte fa parte della vita e il protagonista principale, chiaramente un alter-ego dell’autore, alla fine trova la sua pace.
Il libro mi è piaciuto, la scrittura non banale ma nemmeno pretenziosa (anche se la parola “striscia/e” è ripetuta un po’ troppo…) e mi e piaciuta la storia anche se non è particolarmente originale. Ma considerarlo, come ho letto da qualche parte (quasi) un capolavoro mi sembra eccessivo.
Nel fondale disegnato dall’autore mancano (almeno) due particolari: la criminalità organizzata che però in quegli anni era concentrata quasi esclusivamente sul contrabbando di sigarette. La cosa però è comprensibile in quanto il fenomeno è sempre stato visto dai napoletani come endemico e quindi quasi irrilevante. Manca anche la dimensione politica, non tanto quella istituzionale che invece è ben presente, ma quella “alternativa” che in quegli anni (metà dei '70) era alquanto visibile e rumorosa. Una spiegazione sta (forse) nel fatto che l’autore lavorava al “Roma” un giornale schiettamente di destra. Evidentemente le due cose non facevano parte della vita dell’autore e quindi sono state ignorate. Questa considerazione rinforza la mia convinzione che il romanzo non parla di Napoli ma della vita dell’autore e della condizione umana in generale.
Mi fermo qui per evitare di sbrodolare, ma se volete sapere cos’è “il tiro a otto” o perché sui vetri dell’appartamento della donna morta c’è una “polvere rossastra” potete chiedere :slight_smile:

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Ah beh certo che ci interessa! E comunque puoi scrivere quanto vuoi, è sempre bello se qualcuno dedica del tempo per scrivere le proprie considerazioni e, perché no, anche divagazioni :slight_smile:

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Il libro mi sarebbe piaciuto molto se l’avessi letto in un altro momento, è un periodo denso di eventi e faccende che mi assorbono energie e pensieri e non ho l’attenzione necessaria per dedicarmi a letture più complesse e involute.
Riconosco lo spessor della scrittura, mi piace come sa tradurre immagini in parole. La ripetizione ben si accorda alla pioggia incessante. Nel leggerlo sentivo l’umidità penetrarmi nelle ossa.
Ho lasciato praticamente perdere subito la trama, che non ha particolare importanza. Quello che conta è il susseguirsi del tempo, in una specie di costante attesa e sospensione di ogni regola temporale. Ci sono sì 4 giorni che però potrebbero essere 4 mesi o 4 anni o 4 secoli e la storia reggerebbe ugualmente.
Ciò che mi è piaciuto di più è sopratutto nelle storie anche solo tratteggiate dei vari personaggi che si incontrano, storie più o meno brevi ma che lasciano quel ché di sospeso che mi fa volare nell’immaginario del poi, della vita prima o dopo di queste piccole persone.

Peccato, avrei voluto leggerlo con la dovuta attenzione ma ho fatto fatica a finirlo. Mi ha fatto venire in mente un altro libro, casa di giorno casa di notte di Olga Tokarczuk, che gli accosto per affinità nel linguaggio ricercato, la mancanza o comunque irrilevanza di una trama lineare e per le piccole storie dentro la storia che sono anche più belle di tutto il resto.

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Una citazione che mi è piaciuta molto

Come si fa, infine, a raccontare l’ansia che si arrampica deforme, e rantola, e geme, e questa voce che naviga e vola e percorre l’asfalto: sulle mani adesso è scesa a premere la provvisorietà di un sinistro presagio inconcludente che non si spezza nel fulmine improvviso, che non si spezza, e che trascina tuttavia decorazioni rutilanti giù nel liquame dell’ansia. Si continua adesso, si continua, a disegnare assensi sulla vergogna, sulla paura incerta.

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Nel libro, quando si racconta il funerale della giovane ragazza morta e della disperazione del padre viene citato il “tiro a otto” e forse si capisce che si fa riferimenta al carro funebre. A Napoli oltre ai semplici furgoni e alle station-wagon specificamente costruite per la bisogna esisteva, almeno fino all’inizio degli anni '80 (e forse anche oggi…?) anche un trasporto funebre effettuato con una carrozza trainata da cavalli. Non so a quando risale la tradizione ma sicuramente questo avveniva anche altrove quando non esistevano le auto. A Napoli questa tradizione veniva declinata in modo che fosse possibile riconoscere immediatamente a vista (e orecchio) l’importanza del morto e/o della sua famiglia dal numero di cavalli attaccati al carro. Per cui esisteva un “tiro a otto”, un “tiro a sei” e un “tiro a quattro”, non ho mai sentito citare un “tiro a due” ma non sono un esperto del ramo :slight_smile: Vi posso assicurare che sentire il rumore di 8x4=32 zoccoli sui ciottoli proveniente da una carrozza enorme tirata da 4 paia di cavalli e con sopra due cocchieri e dietro altri due aiutanti tutti, cavalli compresi, in nero è davvero qualcosa di difficile da dimenticare.
La polvere rossa che il giornalista nota sulle finestre della casa dove è stata trovata morta una donna sono i prodotti di scarico della grande acciaieria Italsider, chiusa negli anni ‘90, che rilasciava nell’atmosfera della periferia napoletana. Qualcosa rispetto alla quale, nonostante si sapesse che si trattava di veleni, non venne mai fatto nulla di concreto, un po’ come è avvenuto per l’acciaieria ILVA di Taranto e non solo quella.

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