Il paradiso degli orchi - Discussione

Sempre più in ritardo :slight_smile: discutiamo de Il paradiso degli orchi:

Libro che ho trovato interessante, divertente anche se tratta poi dei temi piuttosto pesanti, ci introduce il personaggio di Malaussène, diciamo pure scapestrato, sognatore, alieno sulla terra.
Circondato da una serie di personaggi a loro modo tutti speciali, con un senso della famiglia piuttosto particolare (come il suo innamoramento per la sorella), la storia ripeto è di per se leggera anche se ci porta in quelli che sono stati gli orrori perpetrati durante la seconda guerra mondiale quando era davvero facile far sparire qualcuno nel nulla, un libro nel quale il detto “l’abito non fa il monaco” è quantomai vero

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Sto attraversando un periodo di alti e bassi che mi rende meno costante negli impegni e anche nella lettura ma, complice una mattinata no a lavoro, sabato pomeriggio ho iniziato a leggerlo e l’ho praticamente divorato! Non avevo mai letto Pennac e ho fatto una faticaccia a seguire il filo, soprattutto all’inizio del libro (poi diventa più fluido, o almeno così mi è sembrato), ma poi, presa confidenza con lo stile, la curiosità di sapere come si sarebbero evolute le vicende è stata tale che non l’ho posato fino alla fine.
Il dialogo con il fratello in ospedale, dopo aver dato fuoco alla scuola, mi ha letteralmente stesa, divertentissimo!

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Non avevo mai letto nulla di Pennac ma ero sempre stato curioso, e alla fine non ha deluso le aspettative. Anche io ho trovato difficile seguire il filo all’inizio del libro ma poi mi sono appassionato e l’ho finito velocemente. I temi non sono facili da digerire ma la scrittura divertente alla fine ha addolcito la pillola. Alla fine dei conti è un giallo ed è il primo libro del ciclo del Malaussene.

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Ho proposto Pennac perché avevo letto “La fata carabina” e mi era piaciuto, quindi ho voluto recuperare il primo della saga.
Che devo ammettere non mi ha deluso.
Adoro il modo di affrontare la vita di Malaussene, in una realtà disfunzionale ma bellissima, una famiglia fuori dagli schemi, amici improbabili, un lavoro impossibile e un cane problematico. La trama è ben disegnata e riesce a tenerti all’oscuro fino alla rivelazione finale rilasciando pezzettini per risolvere il puzzle durante lo svolgersi delle vicende. Tutti i personaggi sono ben calibrati, interessanti e unici anche quando l’autore non si sofferma troppo nelle descrizioni. Spesso i dialoghi sono ricchi di citazioni e riferimenti che, devo ammettere, non ho colto quasi mai perché mi manca il background. La leggerezza della scrittura di Pennac riesce a rendere leggeri e divertenti anche i momenti più oscuri del racconto, a volte ci vuole un attimo a capire che è appena successo un disastro con arti che volano e sangue che schizza dappertutto. La storia di fondo è tenebrosa e violenta, eppure scorre leggera dietro al tocco delicato delle parole dell’autore, sinceramente non so come riesca a ottenere questo risultato, davvero bravo.
Per concludere: il libro mi ha divertito molto e ho adorato alcuni personaggi, probabilmente proseguirò con la saga di Malaussene.

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Riletto volentieri, Daniel Pennac è uno dei miei autori contemporanei preferiti e la saga della sua famiglia tra le migliori serie che ho letto. “Il Paradiso…” è il primo libro sui Malaussène, un libro che dimostra, senza ombra di dubbio, che si possono scrivere cose umoristiche e contemporaneamente terribilmente serie. I vari personaggi presenti nella prima storia cresceranno nel corso delle altre e se ne aggiungeranno alcuni che si integreranno bene con quelli più vecchi.
Il gruppo è una sorta di “X-Men”, con Benjamin nella parte del Dottor-X e tutti gli altri in quella dei mutanti, infatti ognuno di loro ha una sorta di “super-potere”. A parte il protagonista non saprei chi scegliere come personaggio preferito in quanto ci sono caratteristiche che mi piacciono in tutt*. Per cui conviene concentrarsi sulle storie che sono sempre ben agganciate al presente (di quando sono state scritte) e quindi a volte non hanno lo stesso effetto se lette dopo molti anni. Storie legate a cose concrete ma che hanno dei visibili legami con il mondo dell’immaginazione più fervida, che a volte sfiorano le favole, quelle decenti. La sccrittura potrebbe lasciare bloccati ma è un problema che poi si supera con un po’ di pazienza.
Per goderselo davvero va letta, in ordine, tutta la saga: sono solo 7 libri (non tante pagine) e di qualità diversa, per esempio quello che a me è piaciuto di più è il secondo (“La fata carabina”) e quello che è piaciuto di meno è l’ultimo, forse perché viene raccontata la fine del viaggio. E quando un viaggio finisce siamo tutt* sempre un po’ tristi.
Ne approfitto per sconsigliare la visione del film tratto dal libro, una cosa decisamente mediocre che farebbe passare la voglia di leggere l’originale.

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Ah, dimenticavo, Pennac mi piace anche perché In “Come un romanzo” ha dettato il Decalogo dei diritti di chi legge, che andrebbe affisso per legge (scherzo) in tutte le librerie e biblioteche degne:

"In fatto di lettura, noi lettori ci accordiamo tutti i diritti, a cominciare da
quelli negati ai giovani che affermiamo di voler iniziare alla lettura.

1 Il diritto di non leggere
2 Il diritto di saltare le pagine
3 Il diritto di non finire il libro
4 Il diritto di rileggere
5 Il diritto di leggere qualsiasi cosa
6 Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa)
7 Il diritto di leggere ovunque
8 Il diritto di spizzicare
9 Il diritto di leggere ad alta voce
10 Il diritto di tacere".

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Eccomi in ritardissimo, al netto che il libro l’ho finito da un po’. Purtroppo soffro di quel problema di scordarmi velocemente le trame, al netto che come in questo caso mi sia piaciuto moltissimo (tanto da prendere in cosiderazione la lettura della saga intera): la fama che precede Pennac ha ben ragione di esistere.

Come avete scritto in molti ho apprezzato tantissimo la dicotomia tra il tono decisamente sopra le righe e la gravità degli argomenti trattati - e il titolo direi che è la perfetta dichiarazione di intenti.

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Eccomi qui, anche per me devo dire è stata una grossa sorpresa; come dicevo quando il libro è stato selto, non avevo mai letto Pennac per un chiaro pregiudizio da parte mia nei suoi confronti, dovuto a cosa? Boh non so di preciso, forse il fatto di vederlo così presente in libreria me lo faceva guardare con sospetto? forse sì forse no, fatto sta che l’ho trovato divertente, sagace, e in mezzo a tutti i vari siparietti comici anche colto. Quando l’ho finito ho pensato di voler leggere anche gli altri, sulla scia dell’entusiasmo, e pensavo che questa idea si sarebbe diluita mettendo un po’ di distanza, invece rimango ancora dell’idea di volerli leggere e questo perchè questo libro è chiaramente solo in apparenza leggero, dunque in grado di sedimentarsi nella memoria e di lasciare comunque una traccia. Tra l’altro questo libro è stato un esperimento anche sotto un altro punto di vista: l’ho sia letto che ascoltato. L’ascolto era riservato all’andata e ritorno da lavoro in bici, e poi l’ho finito leggendolo in un weekend, il risultato però è che adesso non riesco a disgiungere la voce di Bisio da Malaussène, e viceversa :rofl:
Una cosa che ho trovato molto interessante, nochè in un certo senso familiare, è l’elemento del fratello maggiore visto quasi più come un genitore, e del relativo accogliere con rassegnazione/disagello l’ennesima gravidanza della madre. Queste sono secondo me vicissitudini che al giorno d’oggi risultano meno comuni, nel senso che per esempio chi vuole figli in genere aspetta un po’, data la situazione economica e lavorativa spesso precaria se non disastrosa, pertanto è più difficile che tra fratelli e sorelle ci sia talmente tanta differenza di età da far sì che il o la maggiore sia vista quasi più come una figura genitoriale piuttosto che una figura pari. Qualche tempo fa però non era così, ricordo perfettamente mia zia, la più grande tra le sorelle di mia madre, raccontarmi di quanto si lamentasse, da giovincella, dell’ennesima gravidanza di mia nonna, dato che poi sarebbe stata lei a sobbarcarsi più della meta della cura del nuovo fratello o sorella. Alla fine si era rassegnata alla schiera di sorelle e fratelli e alla nascita era comunque contenta, però il rapporto che si creava e che ancora oggi un po’ vedo, era proprio quello di una sorella maggiore vista come una seconda madre.

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Faccio la controcorrente e oltrettutto non l’ho ancora finito perché sono solo al capitolo 18, ma non riesco ad andare avanti.
Leggendo le vostre recensioni forse proseguirò ma non garantisco.
Come Lilith, pure io parto da pregiudizi nei confronti dell’autore che non hanno basi solide se non due:

  • viene sempre associato a Benni e a me Benni non piace, lo trovo spocchioso. Di conseguenza Pennac gode del riflesso negativo di Benni e mi fa desistere in partenza
  • avevo già provato a leggere esattamente questo libro, m’è tornato in mente al primo capitolo. All’epoca lo mollai perché mi stavano tutti antipatici.

Ebbene, mi stanno ancora tutti piuttosto antipatici, malaussene e tutta la combriccola familiare. Ricordo che pensai che la madre aveva fatto bene ad abbandonarli perché erano proprio insopportabili ahahah

Non saprei dire perché, forse l’eccesso spinto mi provoca antipatia perché mi sento presa in giro, come se l’autore mi volesse dire: guarda come sono particolari tutti quanti, come si fa a non amarli così fuori dagli schemi?!

Il libro è corto, quindi lo scoglio non è quello. E neppure la scrittura, abbiamo letto insieme libri più lunghi e più complessi. È proprio un blocco comportamentale, forse dovrei analizzare me stessa per capire come mai tutta questa avversione.

Comunque, se la storia prosegue con colpi di scena come scrivete, forse forse la cosa mi stuzzica e vado avanti. Prometto che se lo finisco torno e Ve lo dico, e prometto che posso anche cambiare idea!

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Quando hai detto Bisio mi sono ricordato di aver ascoltato un audiolibro di Daniel Pennac: “Ecco la storia”. Era letto e interpretato in maniera magistrale e divertente da Claudio Bisio.

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Ti abbraccerei, perché nelle discussioni sui libri c’è (almeno per me) il piacere di scoprire opinioni diverse dalle mie, altrettanto utili di quelle simili. Per curiosità mi viene da chiederti se ci sono libri “umoristici” che ti sono piaciuti e quali. Capisco quando etichetti Benni come “spocchioso” e, in effetti, avendolo incontrato una volta (ci ho chiacchierato da solo per 10-15 minuti) un po’ spocchioso mi è sembrato ma i suoi libri non mi dispiacciono e ne ho letti tanti.
L’unico punto che ti contesto è quando scrivi che dovresti analizzarti per capire perché Pennac non ti piace perché non credo che a tutt* possa piacere tutto e va benissimo così. I motivi per i quali non ci piace un libro o chi l’ha scritto possono essere davvero tantissimi e va benissimo così. Grazie ancora per quello che hai scritto.

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Visto che conosci Benni… a me lo diedero da leggere durante le vacanze estive quando feci la scuola media ma mio padre ne lesse le prime pagine e vedendo quante parolacce c’erano parlò con l’insegnante e non me lo fece leggere dandomi la possibilità di scegliere un altro libro. Ecco, io da allora non ho più letto nessuno dei suoi libri anche perché oramai avevo instillato questo pregiudizio… ogni tanto mi riprometto di leggerne uno (ma è passato così tanto tempo che ora non ricordo più neanche con esattezza il titolo… mi pare Bar Sport).
E un’altra curiosità sul fatto che Pennac viene associato a Benni (io neanche lo sapevo) ma non so perché quando ho iniziato a leggere questo libro pensavo che finalmente stavo leggendo un libro di Benni così capivo cosa aveva che non andava… ad un certo punto ho anche dato ragione a mio padre che non era adatto per un ragazzo della scuola media… poi mi sono accorto che era un libro di Pennac :grinning:

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Non esageriamo, ho scitto che ho incontrato Benni, in un contesto favorevole e ci ho chiacchierato 10-15 minuti e basta :slightly_smiling_face:
“Bar Sport” credo che sia la sua maledizione, uno dei suoi primi libri (il primo?) e tante ristampe ma ha scritto anche molto altro. Tra quelli che mi ricordo perché mi sono piaciuti di più c’è “La compagnia dei Celestini” e, tra i relativamente recenti il racconto “Pantera”. Comunque non far leggere a un ragazzo delle media un libro di Benni mi sembra davvero una cosa vergognosa, con tutto il rispetto per tuo padre. La cosa buffa ma interessante assai in questa discussione è che prima non avevo mai pensato all’accoppiata Benni-Pennac e adesso mi ci avere fatto pensare.

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Ma io penso che lui non conoscesse per nulla Benni ma leggere le prime pagine con parole volgari gli avrà fatto trarre le sue conclusioni… probabilmente sbagliate. Considera anche i tempi, sia suoi (lui del 1945 e i libri che si leggevano all’epoca erano ben diversi) sia i miei: sono del 1978 e le media le ho fatte nei primi anni 90 e di certo non siamo nel 2025 dove sembra quasi tutto permesso.
Comunque prima o poi dovrò recuperarlo così mi tolgo questo tarlo :smile:

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Però, a questo punto mi fai venire la curiosità e ti domando: tu faresti lo stesso con tuo figlio o tua figlia? Magari hai cinque figl* e mi mandi a quel paese ma scusa l’impertinenza. Lo chiedo solo perché mi piace capire come vanno le cose nel 2025 visto che sono nato prima di te ma dopo tuo padre :slightly_smiling_face:
Aggiunta, con il senno di poi… la domanda fatta a @levysoft si intende fatta anche a chiunque altr* voglia rispondere.

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Ho una figlia di 17 anni e, forse sarò all’antica, ma le ho sempre detto che usare le parolacce è un segno di povertà linguistica, un’indicazione del fatto che si hanno poche parole a disposizione o che non si conosce abbastanza bene l’italiano per esprimersi diversamente. So bene che con le sue amiche parla in un altro modo, me ne accorgo quando la vado a prendere e, immersa nelle loro conversazioni, si lascia andare. Ma io ci provo comunque a farle capire che, anche se oggi le parolacce sono sdoganate, non sono il modo più corretto di relazionarsi con gli altri.

Tra i giovani vanno molto artisti come Sfera Ebbasta e Tony Effe (mamma mia…), e le loro canzoni sono spesso piene di parolacce, per non dire altro. Le ripeto sempre che se un cantante le usa in modo eccessivo, quasi come un intercalare, è evidente che non sa scrivere bene in italiano. In quei casi il testo serve solo a riempire la canzone o, in alcuni casi, a provocare volutamente. Eppure, ci sono tantissimi artisti talentuosi, anche tra i più moderni, che riescono a scrivere ottimi testi senza ricorrere a volgarità.

Non ho nulla contro le parolacce in assoluto: in certi contesti sono il modo più efficace per esprimere un’emozione, sia in una canzone che in un racconto. Ma quando iniziano a predominare, mi chiedo se il loro uso sia realmente necessario o se serva solo a scioccare, a seguire una moda o, semplicemente, a colmare una mancanza di parole. Non è il caso di Pennac, anche se in alcuni punti avrei preferito altre scelte lessicali, ma in generale credo che la nostra lingua, così ricca di sfumature, meriti di essere sfruttata appieno (ok, lui è francese ma la sua lingua è abbastanza ricca come la nostra). Ovviamente, se un autore deve far parlare un personaggio popolare, è naturale che utilizzi un linguaggio adeguato al contesto.

Quello che cerco di insegnare a mia figlia è proprio questo: ogni situazione ha il suo registro linguistico e, se si evitano le parolacce, non si sbaglia mai. Ogni tanto, per fortuna raramente, le scappa qualche espressione colorita. Non la rimprovero, ma le chiedo sempre di sforzarsi di trovare un’alternativa a quella parola.

Eccomi! Ho aspettato a rispondere perché volevo farlo da PC e prendermi più tempo e spazio ma non ricordo più la password e ho timore a disconnettermi e non riuscire più a rientrare, dispersa nell’oceano dei bit ad annegare tra i meme.
E in più mi ha fatta riflettere su letture umoristiche che ho fatto e che mi sono piaciute.

Innanzitutto: ho finito il libro proprio stamattina, in pigiama a letto con un occhio alla storia e uno alla finestra piovosa. Sono molto soddisfatta di averlo alfine terminato e confermo che non mi è piaciuto. Non mi interessa andare avanti e scoprire come evolve l’epopea della famiglia malaussene, la lascio volentieri alle sue stramberie.
Ed ecco l’elemento che più mi ha infastidita, l’eccessiva eccezionalità delle persone dipinte. Tutte quante, speciali in un senso che io ho letto forzato e fasullo. capisco che è voluto ed è la cifra scelta dallo scrittore, per renderceli interessanti e piacevoli, ma non me evidentemente non ha funzionato.
La questione del dovermi analizzare era una boutade non tanto per dire che ho un problema ma che sarebbe interessante (per me) capire cosa mi rende così antipatici tutti quanti nel libro, cane compreso!
Vedo un po’ di capirlo, senza cercare di fare la psicologa. Come ho già scritto trovo troppo artefatto tutto quanto. Non la trama dal libro, proprio le persone che lo compongono. Questa ricerca di caratteristiche che le rendono a tutti i costi fuori dal comune, come a dover giustificare la loro geniale complessità di unicità. Mi è parso tutto troppo, come quelle persone che si autodefiniscono pazz e poi sono il ritratto della mediocrità (non normalità, perché non esiste il “normale”).
Ecco, mi sono sentita presa in giro, non ho bisogno che mi si dica “leggi, leggi quanto sono speciali e quindi quanto la storia è sicuramente interessante”. Se un personaggio è bello, lo è a prescindere che in ogni suo aspetto ci sia appiccicato sopra lo stemmino dell’unicità ad ogni costi.
Non li trovo scanzonati, li trovo fin troppo convinti. Ossia che l’autore ci sia messo d’impegno e fatica per farli così, e in tal modo ne difetta in genuinità.

Dove trovo l’umorismo in letteratura? È trasversale e non legato ad un genere letterario soltanto. È la bravura di chi scrive a farmi ridere e sorridere, oltre che ad affinità umoristiche evidentemente.
Per fare esempi.
Il primo libro che mi è venuto in mente è “la mia famiglia e altri animali” di Durrell. Lo lessi da ragazzina e ancora adesso ogni tanto lo ritiro fuori e mi faccio delle crasse risate in diverse scene.
Poi c’è Jane Austin, giusto per restare in tema sondaggio del mese. Sono una carampana di Jane, meglio specificarlo, e trovo che diversi suoi personaggi siano oltremodo gustosi nella loro ridicolaggine (i genitori di Elizabeth e il cugino prete in “Orgoglio e pregiudizio” per citarne alcuni).
E poi Vonnegut in diversi libri, ma anche Ammaniti in L’ultimo capodanno sono altri esempi. Trovo il divertimento anche in libro profondamente tristi di base, tipo in “Le ceneri di Angela”.
Forse la parola umorismo mi porta fuori strada, e forse alla fine di questa filippica (che non rileggerò perché sul cellulare faccio fatica, mi scuserete i refusi) ne esco come una persona che non sa ridere. Ma non è così, Ve lo assicuro! Rido ancora delle scoregge, giusto per dire, ma solo se sono oneste e non fatte apposta per farmi ridere :wink:

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Ah dimenticavo!
Mi piace che l’associazione Pennac/Benni vi abbia stuzzicato. Per me erano, sono e resteranno sovrapponibili nel loro mondo di spocchioso narcisismo

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