NOI - Discussione

Post per la discussione del libro di Settembre 2023.
Noi di Evgenij Ivanovič Zamjatin.
A voi la parola

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Dunque, adoro le distopie ma, non ho idea se la traduzione accentui o meno la cosa, mi è risultato noioso, nei ritmi e nelle ripetizioni di frasi o esclamazioni, nelle descrizioni ripetute all’infinito, ferrigno e azzurro non le voglio più leggere per un po’. :slight_smile:

Faccio un primo commento un po’ basic dicendo che ho faticato a leggerlo, per via di una prosa che ho trovato indigesta. Probabilmente, anche per la sua brevità si riesce ad apprezzarlo meglio se letto senza troppe interruzioni: credo che la continuità favorisca ad abituarsi al registro e ad incanalarsi nel flusso del romanzo-diario.

Comunque, ma Il Mondo Nuovo (non ho letto 1984) quanto ha preso da Noi? Un botto mi pare.

Molto utile a mio avviso è la prefazione curata da Niero (l’ho letta dall’edizione di Mondadori). È passato un po’ da quando ho letto altre distopie (e le avevo lette in età non molto adulta) ma ho apprezzato di più quest’ultima, al netto di un trasporto emotivo meno appassionato, perchè nel concettualizzare certe tematiche mi è sembrato un libro meno didascalico del classico “guardate verso che merda stiamo andando”. La satira piena di rimandi a Chiesa, l’ambiente socio-culturale dell’epoca che mena sia l’occidente che l’oriente, le dicotomie continue alla base dell’opera per cui il vero progresso è solo in un equilibrato alternarsi di rivoluzione-evoluzione.

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Per prima cosa ringrazio chi ha proposto il libro. “Noi” faceva parte da tempo della mia (lunga) lista di libri da leggere. Un punto a favore dei gruppi di lettura che ti “costringono” a leggere proprio quel libro.

Non è un capolavoro ma mi è piaciuto e non solo perché il genere distopia è tra i miei preferiti ma soprattutto perché “Noi” è uno dei primi romanzi che affronta molti degli argomenti che poi verranno ripresi (a volte copiati) in seguito da altri. Inutile dire che “1984” deve molto a “Noi” e non solo per la presenza di una entità suprema a capo dello Stato, di una sottotrama amorosa e del cupo finale. Come in molte storie di fantascienza c’è sempre qualche dettaglio, frutto dell’immaginazione di chi scrive, che sembra anticipare qualcosa come per esempio la descrizione della “frusta elettrica” (Appunto 22) che fa venire in mente il “taser”. Oppure l’uso di lettere e numeri per identificae le persone che sono una sorta di codici fiscali ante litteram, giusto per fare due esempi. Molto attuale il contrasto tra la megalopoli di metallo e vetro isolata con un muro (verde!) dalla natura selvaggia.
Non so se sia dovuto al fatto che la traduzione è relativamente recente (ho letto l’edizione del 2018) ma il linguaggio usato nel libro non mi è sembrato eccessivamente datato nonostante sia passato un secolo (!) da quando è stato scritto. Probabilmente la forma “diario” ha contribuito, almeno in parte, a salvare qualcosa.

Mi è piaciuto perché è un romanzo chiaramente politico, come tutti quelli a tema distopico, oltretutto scritto in tempo reale da qualcuno che ha vissuto (almeno in parte) un avvenimento di portata epocale. Qualcuno che ha anche intuito alcuni dei problemi che quel rivolgimento sociale avrebbe causato.
Il difetto di questo, come di altri romanzi distopici, è che l’autore non riesce a uscire dalla dicotomia individuo-massa, per cui da una parte c’è la maggioranza delle persone che subisce passivamente la dittatura e dall’altra un singolo individuo (o uno sparuto gruppo) che prova a ribellarsi. Come se l’unica alternativa nell’organizzazione di una società fosse tra il “conformismo da automi” (quelllo ben descritto da E. Fromm) e l’individualismo egoistico propagandato dal capitalismo. E, infatti, le opere più famose e quelle che conosco io hanno sempre finali pessimistici, per usare un eufemismo.
Una volta o l’altra mi piacerebbe leggere un romanzo (magari c’è e non lo conosco) che desse almeno qualche speranza alla possibilità di una rivoluzione che percorra una strada diversa, indirizzata verso la costruzione di una società di liber* e uguali nella quale le singolarità riescano a far parte di una massa mantenendo le loro individualità.

E qui mi fermo, che ho sbrodolato anche troppo, con una citazione che pur non avendo in origine nulla a che fare con il mondo digitale che ci circonda mi sembra ci si adatti bene: “A noi è andata peggio: ci siamo ricoperti di cifre, le cifre ci strisciano addosso come pidocchi.” (Appunto 28, modifiche mie).

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Eccomi qua! Felice di aver proposto questo libro (che avrei comunque letto anche per i fatti miei).
Avrei preferito essere digiuna sia di brave New world sia di 1984, perché è vero che tante cose risuonano. In fondo i libri distopici hanno tutti una base di partenza comune e si può ben affermare che noi, come capostipite, abbia tutte le fondamentali e principali caratteristiche.
Mi è piaciuto molto nel complesso anche se l’ho letto più lentamente di quanto immaginassi. E non per la prosa che ho trovato piuttosto moderna (forse complice la traduzione, chissà) ma proprio per la scelta stilistica di renderla in forma di diario. Ma è un problema solomio, mi rendo conto, ché non vado molto d’accordo con i libri scritti a mo’ di diario.
All’inizio non mi piaceva la “pochezza” del protagonista che non apre gli occhi e invece si muove contro al sistema solamente per causa degli occhi finestra di I. Poi però ho pensato che era corretto così, che mostra bene la difficoltà di riuscire a scrollarsi di dosso i codici che sono inculcati fin dalla nascita, e sarebbe stato forzato immaginare che in poco tempo stravolgesse totalmente il suo non-pensiero. Infondo è comunque uno strumento,avvicinato dai rivoluzionari solo per mera opportunità. Forse I si è davvero innamorata di lui, forse no (propendo più per il no). La fine era esattamente quello che mi aspettavo ma non nel senso di telefonata, semplicemente doveva terminare così.
Un libro sicuramente attualissimo e molto molto ben invecchiato, profondamente connesso con l’epoca e il luogo in cui è stato pensato, partorito e scritto.

Tre cose che mi sono piaciute molto:

  • le agghiaccianti macchine del benefattore, quella che scompone la materia e quella che estirpa la fantasia. Ho provato quasi malessere fisico nel leggerle nell’immaginare reali
  • la secondaria ma comunque intensa storia di O, tonda e traboccante di tenerezza
  • la muraglia verde. È affascinante questo muro di Berlino ante litteram, questa muraglia cinese che cerca di escludere l’entropia e il caos della natura dal mondo perfetto

Ho trovato invece poco efficace i luoghi dei rivoluzionari, l’espediente dell’armadio passante e dei sotterranei. Poco approfonditi ma tratteggiati un po’ con noncuranza.

Di seguito un paio di citazioni che mi sono appuntata così, perché mi risuonavano al momento (ma il libro sarebbe pieno di interessanti citazioni, potrei aprirci uno di quei profili ammiccanti con improbabili foto di gambe nude, maglioni pesanti di lana, tazze di tè fumante e citazioni letterarie ad ammantare il tutto di intelligenza).

«Ha sentito, pare che sia stata ideata un’operazione: l’asportazione della fantasia.» (Qualche giorno prima, in effetti, avevo sentito parlare di una cosa del genere.)
«Sì, lo sapevo. Ma io che c’entro?»
«C’entra, c’entra: fossi al suo posto, prenderei e chiede-rei di essere sottoposto a questa operazione.»
Sul piatto si è dipinta nettamente l’espressione acida di chi abbia assaggiato un limone. Poverino: gli era parso offensivo che si alludesse anche lontanamente alla possibilità che potesse avere della fantasia… Che dire, del resto? Una settimana fa, anch’io, probabilmente, mi sarei offeso. Ma adesso, adesso no: perché so di averla, so di essere malato. E so, per giunta, di non voler guarire. Non voglio, ecco: e basta!
(Appunto 14)

«E io come vuoi che faccia a dirti qual è l’ultima rivoluzione? L’ultima rivoluzione non c’è; le rivoluzioni sono infinite. Si dice ai bambini che è l’ultima: l’infinito li spaventa e bisogna che dormano tranquilli la notte…»
«Ma dov’è il senso, dov’è il senso di tutto questo, in nome del Benefattore? Dov’è il senso, visto che tutti sono felici?»
«Supponiamolo pure… Va bene, d’accordo: mettiamo che sia così. E dopo?»
«Ma è ridicolo! È proprio una domanda da piccoli! Racconta una storia a dei bambini, raccontagliela fino in fondo, e loro ti chiederanno comunque, senz’altro: e dopo? e perché?»
«I bambini sono gli unici filosofi arditi. E i filosofi arditi sono senz’altro bambini. Bisogna fare proprio così, come i bambini, chiedere: e dopo?»
«<Non c’è niente, dopo! Punto! Nell’universo intero, dappertutto, si riversa uniformemente…»
«Aha: uniformemente, dappertutto! Ecco, è questa, è questa qui l’entropia, l’entropia psicologica. A te, come matematico, dovrebbe essere chiaro che soltanto le differenze - le differenze - di temperatura, soltanto i contrasti termici contengono vita. Se invece dappertutto, nell’intero universo, i corpi sono ugualmente caldi o ugualmente freddi… Bisogna farli cozzare fra loro perché si sprigioni la fiamma, avvenga la deflagrazione, si crei la Geenna. E noi li faremo cozzare!»
(Appunto 30)

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È stata una lettura estremamente interessante che mi ha preso molto. Il tema di
fondo è molto attuale.

Condivido in pieno quello che scrive l’autore stesso (cito dall’introduzione di Niero):

Dei critici miopi hanno visto in quest’opera [Noi] nient’altro che un pamphlet politico.
Non è affatto giusto: questo romanzo rappresenta un campanello d’allarme per
il duplice pericolo che minaccia l’umanità: il potere ipertrofico delle macchine
e il potere ipertrofico dello stato.

Come si diceva nell’altro thread, giustamente la qualità di una traduzione non
si può valutare non conoscendo la lingua di partenza e tra l’altro tutti i
riferimenti all’epoca sovietica pongono un ostacolo in più (almeno per me
che ho solo le nozioni di storia del liceo).

Per cui prendete come decisamente opinabile quello che non mi è piaciuto del libro,
considerandolo sganciato dalla protesta sociale, solo parlando dell’opera.

  1. La condizione della donna. Mi aspettavo, viste le premesse, un mondo in cui
    gli esseri umani sono meri ingranaggi e poi mi ritrovo a soffrire per come viene
    trattata O-90. OK che abbiamo il punto di vista di D-503 (personaggio
    insopportabile a mio avviso) ma perché questa disparità di condizione? Per quale
    motivo quando violano la “norma materna”, a pagarne le conseguenze sarebbe stata
    solo O-90? Perché per gli “alfanumeri” femminili si usano le vocali e non vi è una ripartizione equa
    dell’alfabeto?

  2. La spersonalizzazione non rende molto, tralasciando la scelta di usare solo le
    vocali per il genere femminile, io che ho una pessima memoria, dopo quasi un mese
    ricordo ancora I-330, O-90, D-530… solo il poeta, R-qualcosa non rammento.
    Diamo per buono il fatto che dopo mille anni che si sia formato lo stato unico ci
    siano codici così bassi, come autore sarei stato più estremo. Per esempio
    questo tema è trattato in Star Wars, coi cloni. Non vado troppo off topic ma ad
    un certo punto la repubblica galattica decide di utilizzare dei cloni per scopi
    militari.
    Si chiamano tutti CT-nnnn, dove nnnn è un numero e CT sta per Clone Trooper.
    In una serie animata viene affrontato il problema visto con gli occhi dei cloni,
    che appunto vorrebbero dei nomi, ma la spersonalizzazione è resa, a mio avviso
    in maniera migliore: ad esempio se mi diceste (li sto inventando): «in quel
    particolare episodio ci sono CT-4563 e CT-3971», due secondi dopo averli sentiti
    li avrei già dimenticati.

  3. L’aver voluto usare la matematica nella contrapposizione dualistica del mondo
    descritto. Premesso che i dualismi ovviamente non sono adatti a cogliere tutto
    lo spettro di ciò che riguarda gli esseri umani, e sarà che vedo la
    matematica come una lingua, credo che mi sarebbe piaciuto di
    più se si fosse fermato ad una tecnocrazia.
    Esempio stupido che ho pensato nelle prime pagine, proprio perché l’astronave si
    chiama integrale: ero un bel po’ più giovane di adesso quando seguendo le lezioni
    di analisi 1, mi venne fatto scoprire quanto segue (prometto niente cose noiose).
    Se prendiamo la funzione e^x possiamo tranquillamente fare un integrale e trovare
    una funzione elementare, se prendiamo 1/x e ne facciamo l’integrale stessa cosa,
    ma se prendiamo e^x/x ecco che se proviamo a farne l’integrale non esiste
    nessuna funzione elementare.
    Ricordo che pensai che quindi anche la matematica ci ricorda di essere umili.
    Purtroppo sono riuscito a trovare quando venne dimostrata questa cosa, per cui
    magari quando l’autore lo scrisse non era ancora stata scoperta, però io ci ho
    pensato subito.

Mi fermo qua che già ho scritto un sacco.

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Ah mi sa che non si può usare la sintassi LaTeX, i $ ignorateli nel messaggio di prima erano per abilitare la notazione matematica Math | Discourse - Civilized Discussion
Ma in fondo per il discorso non ha troppa importanza.

Ma sai che mi sono persa il punto in cui si dice che per gli uomini il codice inizia con consonante e per le donne con vocale?

Anche io non lo ricordo. Ma potrebbe essere una suggestione corretta, anche se non so quante siano le vocali in russo saranno sicuramente meno che le consonanti e visto che le donne di solito sono più degli uomini non sarebbe matematicamente conveniente, credo.

In effetti anche io ricordo ripetizioni a raffica di “ceruleo” ma anche ripetizioni a proposito della “piega del polso”, mi pare.

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Me l’ero segnato come nota per non dimenticarlo, nella traduzione che ho letto (non vi so dare la pagina perché l’ho letto tramite ebook) nell’Appunto 19 ad un certo punto dice:

Mi catapulto tutto intero nella stretta apertura bianca e… appaiono i dati di un alfanumero maschile (la lettera è una consonante).

Dato che tutti quelli che nomina seguono lo stesso schema (c’è anche il medico S che non ricordavo).

Di Fromm ho letto solo Avere o essere (o un titolo simile) e ricordo (sempre a memoria) che in quel testo diceva come i nomi fossero un tentativo degli esseri umani di ottenere l’immortalità. Per questo dicevo che gli alfanumeri, che dovrebbero essere spersonalizzanti, in realtà a me non lo sembrano proprio.

CC @pepsy

I nomi credo siano un costrutto culturale, almeno lo dimostrerebbe il fatto che i nomi sono differenti in culture differenti. Prima dell’avvento del Cristianesimo nell’Impero romano, non esistevano (per ovvie ragioni) nomi derivati dai Santi. in altre culture i nomi sono formati da più di una parola, in altre sono del tipo "figlio-di"o “figlia-di”. Tutto questo per dire che, se un* è abituat* fin dalla nascita a sentirsi chiamare P22 non credo proprio che sentirebbe il bisogno di cambiar nome e chiamarsi Pinco, Nel romanzo usare delle parole alfanumeriche al posto dei nomi serve solo ad accentuare la bruttura di una società.
@eriol Per quanto riguarda Fromm il mio riferimento era al suo primo (a mio parere più bel) libro “Fuga dalla libertà” (1941) che è una analisi socio-psicologica della società di massa, libro che deve molto a “Psicologia di massa del fascismo” (1933) di Wilhelm Reich, entrambi successivamente “scopiazzati” (ma con molto stile) da Herbert Marcuse ne “L’uomo a una dimensione” (1964). Tutti libri dove molte delle cose descritte in “Noi” vengono spiegate in modo serio.

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Mi sa che non mi sono espresso bene, per me non è una cosa brutta chiamarsi P22 o h0T7, ho amici che usano “alfanumeri” che si sono scelti, e non ci vedo nulla di brutto e li chiamo nel modo da loro scelto. :smile:

Intendevo solo che, nel romanzo, se la premessa della società dello stato unico è che tutti sono degli ingranaggi, spersonalizzati, non servono dei nomi distinguibili. I “figlio-di" o “figlia-di” appunto comunque distinguono una persona all’interno di un gruppo.

@pepsy grazie per le segnalazioni! “Psicologia di massa del fascismo” lo avevo già nella lista dei libri da leggere! Ho aggiunto gli altri. Li leggerò sicuramente. Dovrei rileggere anche Avere o essere in realtà, lo lessi durante il liceo, ma penso che ci sono letture che è meglio fare quando si è più grandi.

Il mio discorso non voleva essere troppo serio, era appunto per discutere. Per dire poco fa, dopo questa nostra discussione sui nomi, stavo pensando che ci stava anche che nello stato unico non ci fosse proprio il concetto di nome.

Ripeto che mi è piaciuto e non mi piace l’idea di fare dei confronti, ammetto che Il racconto dell’ancella o 1984 li trovo più coerenti come universo costruito. Ma appunto chi si appoggia sulle spalle di chi è venuto prima ha modo di spingersi un po’ più in la giustamente. :smile:

P.S. ti ho citato esplicitamente perché non ho ben chiaro il modo in cui funziona discourse, sto facendo rispondi al tuo messaggio ma mi pare che i messaggi vengano disposti comunque linearmente e si perde un po’ il contesto.

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Restando sui nomi alfanumerici, mi sono chiesta in che modo vengono attribuiti. Se si ripetono a caso oppure ognuno ne ha uno suo. Ad esempio nel momento in cui muore D-503 allora il suo alfanumero può essere riattribuito? Tipo le matricole lavorative, come smetti di lavorare la tua la piglia il prossimo assunto.
Che poi O sia tutta tonda e S curve e serpeggiante, non sarà un caso

Mi sono posto la stessa domanda! Senza fare conti, e tralasciando il vincolo che fai notare sulla fisionomia che rende tutto più stringente, per mantenerci numericamente così bassi dobbiamo per forza riattribuirli.

Il problema è che in realtà se nello stato unico hanno deciso che un alfanumero abbia il formato l-nnn, dove l rappresenta una lettera e n una cifra non ci basta neppure per tutti gli alfanumeri viventi, che sono 10 milioni, ma sappiamo che sono già passati 1000 anni da quando lo stato unico si è formato.
Sono andato a vedere l’alfabeto russo su Wikipedia¹ dove viene riportato che è composto da 33 lettere (erano 37 prima del 1917, ma per il conto che stiamo per fare è irrilevante come vedremo).
Quindi seguendo quel formato avremmo (considerando l’alfabeto di 33 lettere): 33 * 1000 = 33000.
1000 sono i numeri che possiamo rappresentare col sistema decimale avendo a disposizione solo 3 cifre (da 0 a 999)². Per dare un nome a tutti gli alfanumeri viventi ci servirebbero comunque 6 cifre numeriche che non useremmo tutte, ma appunto 5 non basterebbero perché potremmo dare un nome solo ai primi 3 milioni e trecentomila alfanumeri.

La realtà però spesso è molto più semplice della fantasia… mentre cercavo sull’alfabeto russo mi sono detto, chissà se su Wikipedia c’è una spiegazione sugli alfanumeri e c’è: i nomi dei personaggi principali erano nelle specifiche del rompighiaccio preferito dall’autore³:

The numbers [… .] of the chief characters in WE are taken directly from the specifications of Zamyatin’s favourite icebreaker, the Saint Alexander Nevsky, yard no. A/W 905, round tonnage 3300, where O–90 and I-330 appropriately divide the hapless D-503 [… .] Yu-10 could easily derive from the Swan Hunter yard numbers of no fewer than three of Zamyatin’s major icebreakers – 1012, 1020, 1021 [… .]. R-13 can be found here too, as well as in the yard number of Sviatogor A/W 904.

¹ Alfabeto cirillico russo - Wikipedia
² la formula generale è data dalla base del sistema numerico (cioè l’insieme di simboli di cui è composto il nostro sistema) elevato al numero di cifre che utilizziamo, nel nostro caso 10 elevato a 3 che fa appunto 1000. La formula generale è più semplice da usare quando la base non è composta dai dieci simboli che siamo abituati ad usare quotidianamente.
³ We (novel) - Wikipedia

Nell’alfabeto russo ci sono 10 vocali (cfr ALFABETO RUSSO | Russo per tutti) e quindi - a meno di non supporre qualcosa di drastico - ci sarebbero problemi a usare solo le vocali per le donne che, di solito, credo che (per questioni genetiche) siano sempre più numerose degli uomini. @Ossimorosa Per quanto riguarda l’attribuzione penso che i nomi dovevano essere riassegnati per forza, visti i conti fatti da @eriol e per quanto riguarda la O e la S direi che si tratta semplicemente di una invenzione letteraria nemmeno tanto originale.

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Devo dire che inizialmente ho trovato la lettura un po’ ostica (sarà lo stile di chi scrive un romanzo nei primi del 900) ma poi, con un po’ di concentrazione, mi ha preso. Alla fine, il libro mi è piaciuto, e sono grato al gruppo che in qualche modo mi ha dato un motivo per continuare a leggere. Addirittura, alla fine sono riuscito anche ad apprezzare lo stile di scrittura dell’autore, perché quando scrive e si avviluppa nei suoi ragionamenti contorti, sembra quasi che faccia poesia.

All’inizio D-503, il costruttore dell’integrale (che scrive per i lettori di un altro pianeta), sembra un classico, come si dice oggi, “nerd matematico” infervorato e il suo mondo sembra quasi la realizzazione su vasta scala della Fratellanza Pitagorica, la setta di Pitagora e dei suoi seguaci della antica Grecia. Tutto è inquadrato in formule matematiche e forme geometriche precise, come a dare sicurezza in un mondo che non lo è (o che comunque non lo era più stato dopo la guerra dei 200 anni): “Ogni cosa a suo posto, tutto era semplice, regolare”, puro, cristallino, simmetrico". Al protagonista piace la Matematica perché gli dà sicurezza, è precisa, controllata, e non ti dà modo di uscire fuori dagli schemi e quindi non si può sbagliare, né commettere errori: “E la matematica applicata alla vita da sicurezza e se non commetti errori allora hai la chiave delle felicità.”

Ho trovato originale l’utilizzo di numerosi riferimenti matematici per descrivere quel mondo:

  • Aveva lo “sgradevole effetto di un membro irrazionale irriducibile che si infili casualmente in una equazione.”,
  • “Non voglio la radice quadrata di -1”
  • “Non vivevo nel nostro mondo razionale ma in quello antico antico, vaneggiante, nel mondo delle radici di meno uno”
  • “Inscalfibili ed eterne sono solo le quattro operazioni dell’aritmetica”
  • “Fatico ad immaginarmi la vita non calata nei paramenti matematici delle tavole della legge”

Non credo sia un caso che la sua amante si chiami I come la radice quadrata di -1 (che è un numero irrazionale, oltre che imaginario).

Le persone vengono chiamate “Numeri” e quindi capita di imbattersi in frasi spiazzanti come: i “doveri di numero onesto” oppure “Avevo finito di essere un numero in una addizione per diventare una unità.”

Spesso vengono citati gli “Esercizi di Taylor da fare in palestra” e le Formule di Taylor: credo si riferisse proprio al matematico inglese Brook Taylor del 1700.

Sono tutti sincronizzati nel fare le cose come un unico organismo (anche nel mangiare con i suoi “50 movimenti regolamentari di masticazione per ogni boccone”) e due volte al giorno (16:00-17:00 e 21:00-22:00) “il possente e unico organismo si parcellizza in cellule separate: si tratta delle ore personali stabilite dalle tavole della legge”. Sono talmente controllati mentalmente che reputano “i sogni sono una grave malattia psichica” e la fantasia come qualcosa da eliminare chirurgicamente: “Voi siete malati e il nome di questa malattia è: fantasia!” e “Sarete perfetti, equivarrete a delle macchine, la via che conduce al 100% della felicità è sgombra. Affrettatevi tutti, grandi e piccini, affrettatevi a sottoporvi alla Grande Operazione.”. E per ribadire il concetto: “Il sogno antico del Paradiso… Ripensi al Paradiso: là non si conoscono i desideri, non si conosce la compassione, non si conosce l’amore; là ci sono i beati, a cui è stata asportata la fantasia (ed è per questo che sono beati), gli angeli, i servi del Signore”.

Figure come “Lo Stato Unico”, il Benefattore e la Scienza Unica di Stato ricordano molto 1984, con il suo Grande Fratello che rappresenta il simbolo del controllo totale e della sorveglianza dello stato. In entrambe le opere, la società è dominata da un’ideologia totalitaria che controlla il pensiero e la libertà delle persone. In “Noi”, la Scienza Unica di Stato è l’ideologia dominante che promuove l’efficienza, l’ordine e l’eliminazione di qualsiasi forma di individualità. Questa ideologia richiama il concetto di Ingsoc presente in “1984”, che promuove il controllo del pensiero e la manipolazione della realtà per mantenere il potere.

Per entrambi i romanzi vengono esplorate tematiche come la perdita della libertà individuale, l’alienazione e la distruzione dell’individualità (la frase che più rappresenta questo stato di cose è: “Tutti ed Io siamo un unico Noi”). Risulta impressionante, quindi, l’effetto spersonalizzante dell’assenza dei nomi sostituiti da una lettera (consonante per i maschi e vocale per le femmine) e un numero progressivo. (grazie a @pepsy per aver spiegato che nell’alfabeto russo ci sono 10 vocali, altrimenti le donne sarebbero state in netta minoranza numerica). Evidente che essendo scritto nel primo 900 ha ancora risvolti maschilisti sulle donne e su come pensano le donne (specie quando ad inizio libro D descrive O … non la tratta proprio bene).

Mi ha messo i brividi quando ho capito che O-90, che ha il desiderio di procreare ma essendo fuori dallo standard della Norma Materna, non potrebbe farlo nello Stato Unico, è evidente che ci troviamo di fronte ad una sorta di selezione razziale. Anche il concetto di madre qui viene meno perché i bambini appena nati vengono portati via dalle loro madri. Loro non hanno una famiglia ad eccezione dello Stato Unico ma il protagonista ad un certo punto dice: “Se avessi una madre, come li avevano gli antichi…”

La farsa delle “elezioni senza dubbi” sono indice di una dittatura e alla fine non sono uno strumento del popolo, ma solo uno dei tanti strumenti usati per mantenere il controllo, una mera formalità, un’illusione di partecipazione democratica. I risultati delle elezioni sono predefiniti e che i cittadini non hanno alcun potere reale nel determinare il destino del governo. Questa mancanza di scelta e di vera partecipazione politica è un segno distintivo di un regime dittatoriale e di una società totalitaria.

Interessante il loro modo di intercalare: “In nome del Benefattore”, viene usato almeno 5 volte e fa capire come sono stati indottrinati.

L’autore descrive spesso gli aspetti fisici delle persone con le lettere: la X tra gli occhi, la S del suo corpo, la O del suo corpo tondo (divertente quando scrive frasi come “I, con fare xesco”). E aggiunge poi, sempre per ogni persona, sempre la stessa caratteristica per identificarlo: branchie, rughe, sopracciglia, etc.

Nelle loro abitazioni le stanze hanno le pareti trasparenti (tranne quando si aveva il tagliando rosa e si aveva il permesso dell’addetto ad abbassare le tende): in pratica “vivono sempre in vista, in un perenne bagno di luce”, perché non hanno nulla da nascondere (“non come gli antichi che vivevano in abitazioni impermeabili allo sguardo che però li fece divenire egoisti”). Questo mi ha fatto pensare al Panopticon: un modello di struttura carceraria ideato dal filosofo Jeremy Bentham nel XVIII secolo che si basava su un edificio circolare con celle disposte attorno a un’ampia torre centrale, dalla quale i guardiani potevano osservare i detenuti in ogni momento. Lo scopo era ottenere la massima efficienza nel controllo dei prigionieri, ma allo stesso tempo minava la loro privacy.

Sono tutti sincronizzati nel fare le cose come un unico organismo e due volte al giorno (16:00-17:00 e 21:00-22:00) “il possente e unico organismo si parcellizza in cellule separate: si tratta delle ore personali stabilite dalle tavole della legge”.

Curioso il modo di descrivere alcune cose: parla spesso del cielo (“cielo azzurro, senza una nuvola che lo guasti, asettico, inappuntabile”, “pallido cielo di vetro”) e chiama gli altri testa a palla", presumo perché siano tutti rasati. I peli sono una condizione arcaica e immagino che essere glabri sia una caratteristica di cui andare fieri: lo stesso protagonista è infastidito dalla sua mano villosa mentre I non lo è perché ritrova in quel particolare la condizione che ritrovava fuori dalle mura nei MEFI (dal nome Mefistofele). Talmente infastidito che scindeva se stesso in due: “Io, quello vero, e l’altro Io, quello selvaggio” (che si intravedeva nelle mani villose).
Bello il cambio di registro dell’ultimo capitolo in cui il protagonista asserisce dice di essere cambiato e non userà più “nessun vaneggiamento, nessuna metafora, nessun sentimento. Solo fatti! Perché sono sano!”…. E se fino a poco prima quando scriveva era molto riflessivo e poetico (usando spesso immagini una dietro l’altra per descrivere qualcosa) e si struggeva spesso per amore, ora in effetti scrive in maniera asettica e impersonale, ma anche per questo più fredda e inumana quando guarda I finire sotto la Campana, fino alla frase distopica finale: “E io spero che vinceremo! Anzi, ne sono certo: vinceremo! Perché la ragione deve vincere!”. Qui è la sua umanità ad aver perso.

Ambientato 900 anni nel futuro, è un libro scritto nei primi del 900 e si intuisce sia per il modo di fare i calcoli (ovviamente, data l’epoca, usano le tavole dei logaritmi) sia perché quando quando va nello spazio ci sono pochi dettagli e manca il concetto di assenza di gravità (quando lo ha scritto l’uomo non era mai andato nello spazio).

Una bella riflessione: “Nel passato lo Stato, per senso di umanità, vietava di uccidere il singolo individuo, mentre non vietava di uccidere per metà milioni di individui. Uccidere il singolo, ossia sottrarre 50 anni alla somma delle durate delle vite umane era da criminali, ma sottrarne 50 milioni di anni forse non lo era? Beh, davvero ridicolo!”

Una bella citazione: “Una persona è come un romanzo: fino all’ultima pagina non si sa mai come va a finire. Se no, neanche varrebbe la pena di leggere…”

Un pezzo che mi ha fatto ridere: “Noi tutti (e forse anche voi) da piccoli, a scuola, abbiamo letto il più grande dei monumenti letterari antichi giunti fino a noi: L’orario dei treni.” […] A chi non toglie il fiato sfrecciare strepitanti per le pagine dell’Orario? […]"

La parte più poetica? Eccola qua: “Sfigura come la grafite accanto al diamante: entrambi contengono C, carbonio, ma com’è eterno e trasparente, come riluce il diamante!”

La citazione più rivoluzionaria: “E dunque dimmi: qual è l’ultimo numero?” - “Ma, I, è una cosa insensata. Dal momento che il numero dei numeri è infinito, come vuoi che faccia a dirti qual è l’ultimo?” - “E io come vuoi che faccia a dirti qual è l’ultima rivoluzione? L’ultima rivoluzione non c’è; le rivoluzioni sono infinite. Si dice ai bambini che è l’ultima: l’infinito li spaventa e bisogna che dormano tranquilli la notte…”

La parte più vera: “[…] Racconta una storia a dei bambini, raccontagliela fino in fondo, e loro ti chiederanno comunque, senz’altro: e poi? e perché? […] I bambini sono gli unici filosofi coraggiosi. E i filosofi coraggiosi sono sempre bambini. Bisogna che sia sempre così, come i bambini, chiedere: e poi?”

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Ricordo che nel capitolo 8, D-503 trova insieme al poeta e vecchio amico R-13 e alla rosea O, anche: “questo nuovo tizio a me estraneo che, come per una strana casualità, aveva la mia stessa lettera e le mie stesse cifre: D-503”.
Quindi credo che i nomi alfanumerici possano ripetersi. Poi non so questo fantomatico personaggio che fine faccia, pensavo avesse un ruolo nella storia ma poi non se ne parla più (ho anche pensato di aver capito male io ma non credo)

Ho letto il libro in una giornata e questo ha fatto si che potessi entrare un po di più nella modalità diario.
Il libro mi è di per se piaciuto, i mondi distopici e senza speranza sono sempre interessanti da interpretare, la spersonalizzazione degli esseri umani rende tutto più distaccato, inizialmente sembra non esistano sentimenti interpersonali, o almeno non tra gli individui “sani”, tant’è che ognuno può prenotare chi vuole (ed in questo c’è parità dei sessi almeno) per tirare giù le tende, unico svago privato permesso perché anche le passeggiate sono dettate da un inquadramento a livello di passi sincronizzati, file e numero di persone in fila.
La presenza del benefattore non viene vissuta dalla maggioranza come un oppressione ed il pensiero unico sembra star bene a tutti.
L’eliminazione, o quantomeno il tentativo dell’abolizione del libero arbitrio avvicinano molto la società non solo ad una dittatura ma anche ad un fanatismo religioso, una società reclusa ma felice di esserlo che non conosce cosa la circonda, la natura, gli altri esseri umani sopravvissuti alla guerra dei 200 anni ecc…
In tutto e per tutto una reinterpretazione del mito della caverna.
Il finale come da letteratura distopica tende a non lasciare speranza, rimane comunque esiguo il numero dei sostenitori che iniziano ad innalzare l’ennesimo muro elettrificato ma stavolta tra 2 vie, in mezzo alla città per cercare ancora di resistere, come se alla fine fossero destinati a soccombere.

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